Recensione

Atlante delle Isole Remote

di Mariateresa Liccardo

Con piacere riceviamo e pubblichiamo questa recensione del libro “Atlante delle Isole Remote” , edizioni Bompiani, da Mariateresa Liccardo, di cui potete leggere ancora sul suo blog Iacta est.

Judith Schalansky insegna tipografia al Potsdam Technical Institute dal 2008.
Così dicono le note biografiche nel sito del Premio Salerno Libro d’Europa di cui è stata vincitrice.
Tipografia.
La prima cosa che mi viene in mente è un piccolo opificio rumoroso, intriso di acre odore di inchiostro e solventi.
Non penso al prodotto della tipografia, magari un’elegante e candida brochure.
Chissà come e cosa insegna nello specifico, Judith Schalansky.
Forse la tecnica legata alla stampa degli incunaboli, i caratteri gotici, il segno sottile e arcuato delle lettere.
L’estetica della tipografia.
Non potrebbe essere altrimenti, pensando alla cura tipografica del suo libro, Atlante delle isole remote.
Copertina pan di zucchero, dorso in tessuto nero, sui risguardi il mondo, disegnato con un elegante e complesso segno di tratteggio a matita su sfondo arancione.


Oltre la prefazione, le 50 isole dell’atlante si dispongono solo sulle pagine dispari.
Isole talora piccolissime, talora inaspettatamente grandi – il mio metro di paragone è stato Procida – per lo più situate nelle enormi distese oceaniche.
L’isola è nell’immaginario collettivo qualcosa più di una piccola terra emersa circondata dal mare.
E’ dove sognare di andarsene quando non ce la si fa più, è l’atollino con la palma dove vive il naufrago delle barzellette della settimana enigmistica, è un luogo separato e lontano.
Remoto, appunto.
“…le isole non sono che piccoli continenti e che i continenti, a loro volta, non sono altro che isole molto, molto grandi.”
E’ impressionante come le 50 isole dell’atlante di Judish Schalansky siano o siano state toccate, per quanto minuscole o respingenti o disabitate, da vicende umane che varcano i confini del loro ombelico: esploratori, naufraghi, sognatori, sfruttatori, distruttori calpestarono, hanno calpestato e calpestano il loro suolo.
Nessuna isola, per quanto remota e lontanissima, è veramente “isolata”.
Nell’era della globalizzazione, dell’internet, del google view (il mio atlante preferito, quello che percorro con le dita sulla tastiera quasi ogni giorno per vedere luoghi dove non sono mai stata e dove non andrò mai), il lontano è un’idea assai astratta per gli abitanti della terra, la casa con googolplex di stanze.
Accanto alle isole, sulle pagine pari, le parti testuali forniscono informazioni relative alle dimensioni, alle distanze da altri luoghi, ai “tempi” della loro scoperta, e di ogni isola l’autrice dice qualcosa.
Lo fa con una modalità che non è saggistica, non è narrativa, non è storiografica, non è scientifica.
Non c’è definizione appropriata, si deve inventarla.

Geopoetica, ecco.

Roma, 5 agosto 2017


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