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Luci e pietre di Roma

Silvio Negro

Nel 1959, Silvio Negro, giornalista, saggista e vaticanista, definito “il veneto che spiegò la Città Eterna ai romani de’ Roma”, illustrò, con un breve commento, alcune fotografie dei monumenti di Roma illuminati che l’Ente del Turismo intendeva pubblicare in un volumetto.

Il Ponte degli Angeli – Scipione

Andato però a vedere i monumenti in questione constatò che gli piacevano assai più prima, a luci spente. Scrisse ugualmente il pezzo promesso, ma volle trovare il modo di dire quale fosse il suo pensiero in proposito. L’articolo porta la data del 2 novembre 1959, giorno precedente alla morte. Questo è dunque l’ultimo scritto di Silvio Negro, pubblicato nel volume “Roma, non basta una vita”, edizioni Neri Pozza.

Luci e pietre di Roma
Un abisso separa Roma, la vecchia Roma, dalle città nuove e indifferenziate che le crescono intorno d’ogni parte, ma c’è qualcosa che colma quell’abisso. Un raffronto fra piazza Navona e piazza Bologna è senz’altro paradossale; eppure c’è una nota comune

anche tra due ambienti tanto diversi, ed è il nessun conto che fanno entrambi dell’uomo, la loro mancanza d’intimità. C’è un’intimità di Milano ed una intimità di Napoli, la dolcezza europea e quella mediterranea, ma Roma non ha dolcezza di sorta, come se fosse percossa dal sole a picco o spazzata dalle furie della tramontana.

Piazza Navona – Scipione

Poiché appartengono a una città che si chiama “eterna”, le architetture non concedono confidenze alla vita dell’uomo sulle rive del Tevere; sono in realtà chiuse e impassibili anche quando celebrano la fede ed esaltano la carità. Non c’è che la luna, quando è alta nel cielo, che abbia il potere di stemperarne la durezza, che possa avviare l’umano colloquio, e la notte romana è stata in passato tutta della luna. “Feci una passeggiata notturna con gli scozzesi e inglesi al Colosseo sul quale salimmo con fiaccole – annota nei suoi Diari romani Gregorovius – faceva un freddo acuto e la luna era torbida. Tutto intorno vi erano sentinelle francesi. Veduto dalla sommità, il Colosseo è incantevole di notte”. E che diceva Maria Baskirsceva quando il treno la portava via da Roma e il cuore le doleva perché vi aveva lasciato l’innamorato? “Vedi questa luna montante? – Sì, mi rispose mia sorella. – Ebbene diventerà una bellissima luna tra dieci giorni. – Senza dubbio. – Hai visto il Colosseo al chiaro di luna? – Sì. – ed io invece, capisci, non l’ho visto. – Lo so. – Ma tu non sai forse che io ho voglia di vederlo. – È possibile. – Sì, il che vuol dire che tra dieci o dodici giorni io sarò di nuovo a Roma, tanto per le corse che per il Colosseo”.
Le predilezioni dei turisti sono radicalmente mutate nel giro di un secolo, ma il Colosseo si mantiene in primissima fila senza sforzo. Il suo prestigio è intatto anche se nessuno va più a vederlo di notte, al modo di cent’anni fa, anche se l’epoca romantica è finita, anche se la notte romana non appartiene più alla luna ma alle luci di ogni genere, comprese quelle al neon.

Veduta dalla terrazza di via Cavour – Antonietta Rafael

Non hanno poteri magici sulle vecchie pietre le luci della città, ma appartengono alla nostra vita e ci riserbano matasse di fili rosa e gialli, ad esempio, che si possono vedere in una delle illustrazioni di questo opuscolo, e che sono state distese attraverso il Foro dai segnali rossi posteriori delle automobili che da via della Consolazione andavano a via dei Fori Imperiali, e dai fanali bianchi anteriori delle macchine che andavano in senso opposto.
Roma è una realtà tanto ricca e complessa da risultare spesso inesprimibile, da rifiutarsi comunque ad ogni metro corrente. Può darsi quindi benissimo, nei riguardi delle sue celebratissime pietre, che la normale penombra sia più efficace ed evocativa di qualsiasi batteria di riflettori. Si dovrebbe anzi dire ch’è senz’altro così, facendo attenzione a quel che avviene al Pantheon. Poiché però la nostra epoca ha ormai tolto il sonno anche ai monumenti, e questi sfolgorano di notte in ogni paese, la discrezione di cui da spesso prova a Roma chi ha il compito di regolare le luci è pur sempre un conforto.
A piazza Venezia, durante la buona stagione, è giorno in permanenza, ma il palazzo di Papa Barbo è ben solido e può permettersi di non farci caso. Su al Campidoglio, al riflesso delle torce che si sporgono ai lati delle finestre michelangiolesche,

Foro Romano – Afro Basaldella

Marc’Aurelio è in permanente attesa di un ospite da ricevere con tutti gli onori e che non arriva mai. Tra la massa scura del Palatino incombente e quella rilevata dalla basilica di Massenzio lasciata al buio, le luci concentrano al Foro l’attenzione sulle bianche masse monumentali superstiti, e se si mette della partita un cielo mosso, l’effetto è senz’altro gradevole. L’arco di Tito è troppo sereno per aver soggezione dei fari, e il suo vicino che celebra Costantino è genuino alla luce della notte quanto lo è a quella del giorno.
Il caso del Colosseo è diverso, e se potessero tornare a dargli un’occhiata i turisti di cent’anni fa noi siamo certi che resterebbero amaramente sorpresi a diversi titoli.

Veduta notturna del Colosseo – Ippolito Caffi

Di trovare intanto che il Colosseo non è più prato e boscaglia: “Hanno demolito Porta Salaria, la vecchia porta veneranda da cui una volta sono passati i goti… S’imbiancano le case e anche gli antichi venerandi palazzi… Roma ha fatto radere il Colosseo pulendolo di tutte le piante che l’ornamentavano così bene…”, annota amaramente, nel 1874, il solito Gregorovius, e decide di andarsene a morire in Germania. Ma sarebbe anche più sconcertante per i turisti di cent’anni fa trovare che al posto della luna, che lo riempiva di fantasmi, l’anfiteatro oggi è illuminato da luci tanto violente e dirette che ne mettono in evidenza anche le interiora, che compromettono e degradano irreparabilmente la dignità delle nobili arcate.
Dalla parte del Circo Massimo un incendio senza fiamma arrossa per tutta la notte le mura di quello che fu il palazzo dei Cesari. Da buon cortile della vecchia Roma, piazza Navona si mantiene su un piede di casa anche in fatto di luci scenografiche, si compiace più che altro dei giuochi che quelle sommerse nella fontana del Moro rinnovano su per i travertini. La scalinata di Trinità dei Monti resiste bene anche vestita a festa dai riflettori, naufraga invece in tecnicolor la fontana di Trevi, di cui il cinematografo ha fatto per il momento l’ombelico turistico della città.

Trinità dei Monti – Mario Mafai

Le sue scalette ch’erano un tempo discreto ritrovo serale di famigliole d’artigiani, oasi di pace dove alla dignità delle opere umane aggiungeva suggestione la voce delle acque, ora sono teatro di una vita notturna internazionale che ha il carattere tumultuoso e ridanciano di una sagra di periferia. E il rombo solenne dell’Acqua Vergine cerca invano di dominare i clamori di quell’internazionale carnevaletto. Il dio delle acque, tirato fuori violentemente dal suo ambiente mitologico, ha l’aria di un attore che si affacci a ringraziare il pubblico per il beneficio del soldino.
Anche piazza San Pietro oggi paga il suo tributo alle luci riflesse; i fari del Vaticano fanno però il possibile per non farsi notare, si limitano a dare un po’ di rilievo alla facciata della basilica, lasciando il resto nella penombra potente e suggestiva che si addice alle cose grandi, come la solitudine e il silenzio. Poche lampade di vecchia sagoma ottocentesca rompono il buio della piazza: il palazzo papale, punteggiata di rare luci, sembra più vasto e imponente; la viva brezza che passa fra i colonnati reca ogni tanto ondate di spruzzi, e il visitatore ha in piazza San Pietro, di notte, l’impressione inattesa di trovarsi in comunione con la natura, come se ascoltasse il rombo di una cascata e respirasse l’alito fresco e puro della montagna.


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