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  1. La nuova area archeologica di Tuscolo

    Incuneata tra i comuni di Montecompatri, Monte Porzio, Frascati e Grottaferrata, l’area archeologica di Tusculum è, oggi, il cuore storico e culturale dei Castelli Romani.

    Anfiteatro di Tuscolo – Thomas Worthington Whittredge.

    La fondazione dell’antica Tusculum, nell’area dei Colli Albani, avviene in epoca pre – romana e diviene, anche per questo leggendaria. Essa infatti sarebbe sorta per volere di Telegono, figlio di Ulisse e della maga Circe, oppure grazie al re latino Silvio, a sua volta nipote di Silvio figlio di Enea. Questa seconda ipotesi di fondazione è riferita dallo storico Tito Livio, secondo il quale il re latino Silvio sarebbe stato il fondatore della maggior parte delle località più antiche del Latium.
    Altri autori rifiutano questa idea e anticipano la data della fondazione della città di Tusculum almeno a trecento anni prima della guerra di Troia, ipotizzando quindi che i fondatori fossero Latini.
    A conferma dell’origine esclusivamente latina della città di Tuscolo come di molte altre realtà oggi detta dei Colli Albani, è il fatto che molti dei miti di fondazione, tra cui anche quello della fondazione di Roma, nascono nel mondo romano ma si vanno a sovrapporre con miti albani.
    Molti di questi miti poi sono legati al corso d’acqua che attraversa la città di Tuscolo, le cui sorgenti sono proprio presso l’acropoli della città.
    Questo corso d’acqua è il più lungo e importante del Latium vetus,

    Cavea del Teatro – Tuscolo.

    probabilmente detto Albula, cioè che nasce dai Monti Albani, nell’età del bronzo. Esso viene, a partire dal VI secolo dopo Cristo, indicato dai Latini con il nome di Tuscus amnis, cioè di “fiume etrusco” perché andava a toccare e costituiva il confine di importanti territori, caduti poi sotto il controllo dei Tarquini, a loro volta di origine etrusca, tra cui Gabii e Collatia.
    I due centri di Gabii e Collatia erano legati a Tuscolo proprio grazie a un’alleanza matrimoniale tra Ottavio Mamilio, che apparteneva alla gens Mamilia e vantava una discendenza diretta da Telegono, e la figlia del re Tarquinio il Superbo. Proprio per questo legame le tre popolazioni erano indicate con il nome di tusculamnes, ovvero tuscolani. In virtù di questa storia che ha solide basi archeologiche, la città di Tuscolo avrebbe ottenuto il suo nume, quindi, dal fiume che l’attraversa, e contiene nella sua radice la parola “tusci”, ovvero Etruschi.
    I dati archeologici attestano che, sulla sommità della dorsale vulcanica del Tuscolo, già nell’età del rame c’erano degli insediamenti, e che un abitato vero e proprio sorse nell’età del ferro.

    Battaglia del Lago Regillo – Tommaso Laureti – Musei Capitolini.

    Nel 509 avanti Cristo a Roma maturò la cacciata di Tarquinio il Superbo, il quale chiese aiuto militare al genero Ottavio Mamilio, che glielo fornì attraverso la Lega Latina, di cui Tusculum faceva parte. L’esercito della Lega Latina si scontrò con quello dei Romani nei pressi del lago Regillo. Il lago non è stato identificato con certezza, esso potrebbe coincidere con il cratere Prata Porci sotto Monte Compatri, ed è comunque collocabile tra le attuali cittadine di Frascati e colonna.
    La battaglia è una delle prime vittorie mitiche dei Romani e si svolse o nel 499 o nel 496 avanti Cristo. A questa battaglia parteciparono anche i Dioscuri in aiuto dei Romani. Alla fine della battaglia Ottavio Mamilio fu ucciso e i due popoli siglarono il foedus Cassianum, un accordo in cui veniva sancita la parità assoluta tra di essi, databile al 496 o al 493 avanti Cristo.

    Aureo con veduta di Tusculum.

    La forza di questo accordo si vide prima nel 460 avanti Cristo quando i Sabini capeggiati da Appio Erdonio occuparono il Campidoglio. In questa occasione solo Tuscolo, tra tutte le città latine, accorse in aiuto dei Romani. Così Roma fu liberata grazie alle forze congiunte di Lucio Mamilio e del console Publio Valerio Volusi Publicola. In questa occasione Lucio Mamilio ricevette la cittadinanza romana.
    Nel 459 avanti Cristo fu la volta dei Romani ad accorrere in difesa di Tuscolo la cui rocca era stata occupata dagli Equi. Anche in questa occasione l’azione congiunta permise la liberazione della città di Tuscolo.
    Altri importanti eventi legarono la storia di Tuscolo a quella di Roma, e la fine dell’importanza politica e militare di Tuscolo si ebbe a seguito della guerra civile tra Mario e Silla. Tuscolo infatti appoggiò Mario e a seguito della sconfitta di quest’ultimo nell’82 avanti Cristo, vide il suo territorio centuriato e assegnato ai veterani sillani.
    Da questo momento in poi Tuscolo divenne una delle sedi prescelte dal

    Via Tecta che conduce all’acropoli – Tuscolo.

    patriziato romano per i suoi soggiorni estivi. Così come ci viene riportato dal poeta Marziale qui sorsero, tra l’età repubblica e quella imperiale, i Tusculani recessus, cioè ville suburbane di rara bellezza e magnificenza, che resero l’ager Tusculanus la versione collinare del litorale partenopeo: ovvero un luogo di delizie e ristoro per il corpo e per l’anima.
    Tra i diversi personaggi che qui ebbero la loro villa si possono ricordare Cicerone, che qui scrisse le Tusculanae disputationes, Asinio Pollione, Lucullo, sui resti della cui villa oggi sorge il centro della città di Frascati, Gaio Tutazio Catulo, Catone l’Uticense e altri.
    L’inizio della decadenza di Tusculum coincise con la caduta dell’Impero romano. Così a partire dal 64 dopo Cristo sull’acropoli della città si insediò la famiglia dei conti di Tuscolo, che proprio a partire da queste alture governò l’intero territorio per almeno un secolo.
    La tradizione vuole che l’evangelizzazione della città sia stata inizia proprio dai due apostoli Pietro e Paolo. La tradizione cristiana ha quindi una storia lunga, testimoniata anche dalla presenza di diversi siti di catacombe. Nel

    Mura telegonie – Tuscolo.

    1004 Gregorio I dei conti di Tuscolo accolse in maniera trionfale San Nilo da Rossano, il quale occupò il romitorio di Sant’Agnese che sorgeva sulle pendici del colle. A lui Gregorio I donò il terreno su cui oggi sorge l’Abbazia di San Nilo a Grottaferrata.
    Nel 1167 il territorio di Prata Porci, lo stesso che si ipotizza corrisponda a quello del lago Regillo, fu di nuovo testimone di un’altra battaglia che questa volta vide fronteggiarsi le milizie tedesche agli ordini di Federico Barbarossa e le truppe civiche romane. I tedeschi vennero ospitati dai cittadini di Tusculum e questo fu motivo sufficiente per i Romani, nel 1191 per punire la città radendola al suolo. Il territorio della città distrutta, e indicato con il nome di tenimentum tusculanum, fu donato al papa che lo distribuì tra diverse chiese e conventi di Roma e dintorni.
    Gli scavi archeologici di Tusculum raccontano proprio le successioni storiche che qui si sono brevemente descritte: si riconosce quindi una fase pre -romana, una fase romana e una medievale.
    I primi scavi archeologici della zona sono stati condotti nel 1806. A partire da queste data sono state realizzate numerosissime campagne di scavo, di cui undici condotte tra il 1994 e il 2005.
    Dell’acropoli della città non resta oggi praticamente nulla. Essa è segnalata dalla presenza di un’alta croce. Secondo un’iscrizione risalente al I secolo avanti Cristo e ritrovata proprio durante la prima campagna di scavo sull’acropoli sorgevano almeno due templi: quello dedicato ai Dioscuri e quello dedicato a Iside.

    Visione aerea dei resti della città medievale – Tuscolo.

    Il culto dei Dioscuri era molto importante per la città di Tusculum, così come testimoniato anche da una moneta, l’aureo, databile al 43 – 44 avanti Cristo, che porta da un lato riprodotto il ritratto dei due Dioscuri e dall’altro una sorta di panorama della città di Tusculum.
    Sull’acropoli sono numerose invece le testimonianze di epoca medievale. Ad esempio l’intero perimetro dell’acropoli è cinta da mura, in opera quadrata in tufo o in opera poligonale in selce. In questa cinta si aprivano quattro porte, di cui quella più importante era quella rivolta verso l’abitato che si trovava più in basso.
    All’interno delle mura sorgevano numerosi edifici e si riconosce ancora l’andamento delle strade e le piazze. Si è anche potuto dedurre che l’asse viario più importante decorreva da Est a Ovest parallelamente alle mura: proprio lungo questa via erano stati eretti gli edifici più importanti. Di uno di questi resta una parte della facciata, e le sue dimensioni fanno ipotizzare che si tratti proprio del palazzo dei conti di Tuscolo.
    Oggetto di ripetuti scavi è stata l’area in cui sorge il foro, che probabilmente nasce in epoca arcaica con funzione analoga a quella del Foro Boario a

    I Dioscuri durante la battaglia del Lago Regillo – John Reinhard Weguelin.

    Roma: ovvero come mercato. Nell’area è stata portata alla luce una cisterna che più probabilmente era una fontana monumentale. In età medio repubblicana il foro subirà una monumentalizzazione e successivamente, IV – V secolo avanti Cristo, la costruzione di altri edifici tra cui la Curia del senato tuscolano.
    I lavori di costruzione e decorazione della piazza del Foro vanno avanti su un arco di tempo molto lungo, almeno fino al I secolo avanti Cristo. Vengono perciò innalzati diversi sacelli tra cui, come testimoniato da un’iscrizione rinvenuta in loco, quello dedicato a Ercole, la pavimentazione viene realizzata in basoli e oggi alcune zone appaiono decorate a mosaico.
    Il teatro, che sfrutta le pendici dell’acropoli alle quali si appoggia, viene invece costruito in età tardo repubblicana, nel 75 avanti Cristo. Esso doveva avere grande importanza visto che la strada di accesso all’acropoli venne fatta passare sotto la cavea del teatro stesso. In questa maniera l’accesso all’acropoli avveniva attraverso una via coperta. All’inizio dell’età imperiale il teatro fu ingrandito, fino a poter ospitare oltre 2000 spettatori, e abbellito con statue.
    A partire dal III secolo dopo Cristo l’area fu abbandonata e in epoca medievale utilizzata per la costruzione di civili abitazioni e cimiteri.
    Fuori dalle mura della città sorge poi l’anfiteatro, lì dove c’è una piccola valle un tempo occupata da un bosco sacro. Anche se fu parzialmente scavato già nell’Ottocento sono poche le notizie che raccontano di questo edificio, a cominciare dalla sua costruzione che viene normalmente datata alla seconda metà del II secolo dopo Cristo. Dalle dimensioni si evince che esso poteva ospitare più di 3000 spettatori.

    Roma, 2 settembre 2019

  2. Il mondo a casa: Villa Adriana

    Il luogo più caro all’imperatore Adriano non fu Roma, e neppure la sua amata Atene, bensì Tivoli, dove Adriano fa costruire, probabilmente almeno in parte sulla base di

    Villa Adriana -Ricostruzione.

    propri progetti, la monumentale villa che porta il suo nome, e i cui resti coprono un’area di oltre 100 ettari. A Villa Adriana la grande tradizione romana della villa di otium, una tradizione peraltro assai presente nel mosso paesaggio tiburtino, con esempi anche significativi, ampia, fantasiosa, lussuosa fino all’eccesso, si incontra con i prestigiosi modelli delle architetture d’apparato delle regge ellenistiche, trovando formulazioni originali tramite l’applicazione delle acquisizioni della tecnica costruttiva di età neroniana e flavia, che favoriscono lo sviluppo di quelle tendenze imposte da Adriano in ambito architettonico anche nell’Urbe, come la predilezione per le formule planimetriche curvilinee e per gli ambienti voltati a cupola.
    La complessità e l’infinita varietà dell’insieme non è tuttavia riducibile a mero sfoggio esteriore di magnificenza e di sfarzo, perché Villa Adriana è molto di più di una residenza imperiale: è forse la più sincera, la più diretta creazione di un uomo dalla complessa personalità, profondamente colto e che conosce il mondo, della cui infinita ricchezza e bellezza intende fare un compendio nel luogo in cui ha scelto di vivere. Sparziano, nell’Historia Augusta, Adriano – 26, ricorda come Adriano avesse riprodotto nella propria villa i luoghi visitati nel corso dei suoi viaggi, come il Liceo e l’Accademia di Atene, templi della filosofia, o il Pecile, che ad Atene conservava

    Villa Adriana – Canopo con Cariatidi.

    opere di alcuni tra i più grandi pittori greci, Polignoto e Micone, o il celebre canale di Alessandria, il Canopo, o ancora la Valle di Tempe in Tessaglia, celebre per le sue bellezze naturali; e sulla base di questo passo per secoli si è cercato di ricostruire questa topografia miniaturizzata tra i resti di Villa Adriana, anche allo scopo di avere informazioni planimetriche sugli edifici originali. Ma non è certo una riproduzione fedele dei monumenti e dei luoghi visitati ciò a cui Adriano mira, quanto piuttosto la costruzione di una geografia ideale, del cuore e dell’intelletto, che sia un serbatoio di ricordi personali e di memorie erudite, ma che sia anche la rappresentazione enciclopedica, onnicomprensiva, del mondo su cui Roma domina. C’è un continuo gioco tra microcosmo e macrocosmo, a Villa Adriana, di cui costituisce un esempio rappresentativo il cosiddetto Teatro Marittimo, l’isolotto artificiale, delimitato da un euripo circolare, che è una sorta di “villa nella villa”, completa di ogni comfort, compresi impianto termale e biblioteca.
    Ed è un’ambizione enciclopedica a informare anche l’apparato decorativo, che fa di Villa Adriana un dovizioso museo, ricco di pitture, di stucchi, di splendidi mosaici, di rilievi e soprattutto di sculture a tutto tondo. Queste ultime, in particolare, sono copie che consentono di ripercorrere idealmente il cammino dell’arte greca, cominciando almeno dal gruppo dei Tirannicidi di Crizio e Nesiote, per proseguire con i maestri del V secolo, da Mirone con il suo Discobolo a Fidia, con l’Amazzone tipo Mattei, a Cresila, con l’Amazzone tipo Sciarra e la Pallade tipo Velletri; ricco il campionario di copie di sculture di IV secolo avanti Cristo, nel quale emerge l’Afrodite Cnidia collocata all’interno di un monoptero di ordine dorico in uno degli angoli più suggestivi dell’intera residenza, forse evocativo della collocazione

    Centauro vecchio – Musei Capitolini.

    originaria dell’opera prassitelica sull’isola di Cnido; ben rappresentata, infine, la scultura ellenistica, con copie di opere assai apprezzate in epoca romana come l’Afrodite di Dedalsa e il gruppo di Eros e Psiche, e di originali di scuola pergamena e rodia, come il Pasquino, il gruppo dell’accecamento di Polifemo e quello di Scilla che assale la nave di Ulisse. Le sculture, così come i rilievi e i mosaici, sono di notevole qualità, prodotti di un artigianato artistico di raffinato tecnicismo, il cui sviluppo è determinato dal fervore edilizio che si diffonde in età adrianea in ogni angolo dell’impero. È questo clima a favorire l’affermazione di scuole di scultori specializzati e itineranti, tra le quali spicca quella di Afrodisia di Caria: eclettici, virtuosi di tutte le tecniche, conoscitori di tutti gli stili, capaci di lavorare con ogni tipo di marmo, gli scultori afrodisiensi, già attivi a Roma nel grande cantiere delle terme di Traiano, lavorano alacremente per Adriano, interpretando con abilità le sue preferenze e i suoi gusti in campo artistico, e realizzando per la sua residenza tiburtina alcune delle opere scultoree più celebri del complesso, come i due Centauri in marmo bigio morato, firmati da Aristea e Papia, oggi ai Musei Capitolini, caratterizzati da un’esasperazione virtuosistica della resa anatomica che ha conosciuto, fin dal loro rinvenimento nel 1736, una fortuna critica altalenante, tra entusiasmi e critiche feroci.
    Divina bellezza: Antinoo
    È un artista di Afrodisia, Antoniano, a firmare uno splendido rilievo, palesemente ispirato alle stele funerarie attiche di V secolo avanti Cristo, nel quale compare,

    Antinoo come Dioniso – Museo Pio – Clementino.

    identificato con Silvano, dio latino dei boschi e protettore dell’agricoltura e delle greggi, la figura più emblematica dell’età adrianea: Antinoo. Antinoo è il giovane, bellissimo favorito bitinio dell’imperatore, morto nel 130, appena ventenne, per annegamento, in circostanze poco chiare, in Egitto, nei pressi di Hermoupolis: un salvataggio nel Nilo dello stesso Adriano?, una disgrazia? un suicidio rituale? un omicidio politico?. La sua figura e la sua relazione con Adriano sono al centro del romanzo più bello, e meglio documentato, ispirato al mondo antico che sia mai stato scritto, le Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar.
    La morte del giovane getta Adriano in una disperazione considerata con disapprovazione dai biografi antichi, e lo conduce a tributargli una serie di onori di gran lunga superiori a quelli normalmente attribuibili a chiunque non sia un imperatore: nel luogo della sua morte fonda una città, Antinopoli, fa celebrare con feste sontuose gli anniversari della sua nascita e della sua morte, e soprattutto incentiva intorno alla sua figura, divinizzata e assurta al cielo sotto forma di costellazione, un culto che si diffonde in varie città dell’impero, ma anche in Italia: il già citato rilievo di Antoniano viene da Lanuvio, dove si trova un tempio per la venerazione del nuovo dio, associato ad Artemide. Gli atti di Adriano sono certo dettati dal dolore; ma dietro essi è probabilmente da leggersi anche un accorto calcolo politico, teso a colmare il vuoto religioso che caratterizza il periodo con un culto unificante, da diffondere in tutto l’impero, strettamente connesso alla casa imperiale, e anzi emanazione dello stesso imperatore.

    Memorie di Adriano – Marguerite Youcenar.

    Il culto di Antinoo probabilmente si spegne poco dopo la morte di Adriano, ma la sua diffusione, per quanto effimera, è dimostrata dalla massiccia presenza delle immagini del giovane in statue, busti, teste-ritratto, gemme, che ne riproducono all’infinito il volto malinconico, dagli occhi allungati e dalle labbra sensuali, dalle linee carnose ed ampie, coronato dalla massa chiaroscurata della capigliatura a folti riccioli corposi, che crea un suggestivo contrasto coloristico con i piani luminosi del viso. Nelle immagini a figura intera Antinoo è assimilato spesso a figure di dèi giovani come Apollo o Dioniso (di cui già l’arte ellenistica aveva enfatizzato le forme molli e sensuali, talvolta quasi androgine) o di personaggi mitici segnati da un destino doloroso, in cui si intrecciano amore e morte, come Ganimede o Attis; assume un significato particolare l’assimilazione ad Osiride, ispirata dal luogo in cui Antinoo ha trovato la morte, ma anche dalla drammatica vicenda mitica di morte e resurrezione della divinità egizia, che verosimilmente costituisce il tema del complesso programma iconografico del triclinio estivo, noto come Canopo, di Villa Adriana. È a proposito dell’elaborazione dell’iconografia di Antinoo che gli storici dell’arte hanno potuto parlare di creazione dell’ultimo tipo di statua atletica classica, spingendosi sino a definire, come ha fatto la studiosa inglese Jocelyn Toynbee in un libro celebre, l’arte adrianea “un capitolo della storia dell’arte greca classica”. Ma il classicismo adrianeo, inquieto, soffuso di malinconia, aperto a contaminazioni e suggestioni, è ben diverso da quello nitido e sereno, rassicurante, dell’età augustea, al punto che Ranuccio Bianchi Bandinelli ha potuto anzi riconoscervi tendenze romantiche, parlando della “prima apparizione di elementi romantici nella cultura europea”.
    Nella scultura ufficiale adrianea, destinata a eternare il ricordo dei riti e delle cerimonie imperiali, le forme classiche di rigore diventano addirittura gelide, come nei due rilievi reimpiegati in età tardoantica nel cosiddetto Arco di Portogallo, in uno dei quali compare l’apoteosi di Sabina, la moglie morosa “bisbetica” e poco amata di Adriano, morta e divinizzata nel 136. Un tono più caldo e sincero assumono gli stilemi classici nei celebri “tondi” reimpiegati nel IV secolo nell’arco di Costantino, che si possono annoverare tra i prodotti più felici dell’arte dell’età di Adriano. I rilievi sono otto, di notevoli dimensioni, oltre due metri di diametro, e presentano episodi di caccia, al cinghiale, all’orso, al leone, alternati a scene di sacrificio, a Diana, a

    Caccia al Cinghiale – Arco di Costantino.

    Silvano, a Ercole, ad Apollo, e uno, che in origine doveva essere il primo della serie, raffigura la partenza per la caccia; secondo il gusto classico, le poche figure si stagliano nitide sul fondo neutro, appena interrotto da elementi paesistici che conferiscono alle composizioni un tono rarefatto, quasi sognante. Nulla è noto circa il monumento di cui facevano originariamente parte questi rilievi, assai singolari sia per la forma circolare che per la scelta del tema venatorio, che inizierà a conoscere una fortuna crescente nella produzione artistica romana soltanto dopo l’età adrianea, nonostante la forte valenza simbolica di cui la caccia, intesa come manifestazione del potere e della virtù del sovrano, era stata investita già nell’arte dell’Egitto faraonico e in quella del Vicino Oriente antico, in quella persiana e infine in quella greca ellenistica di ambiente dinastico, sulla scia delle celebri cacce di Alessandro Magno. Una interessante ipotesi di Filippo Coarelli attribuisce i tondi ad una struttura, forse un arco di ingresso, connessa alla tomba di Antinoo a Roma, alla quale farebbe riferimento l’iscrizione geroglifica su un obelisco oggi eretto tra i vialetti del Pincio, e da localizzare forse nell’area della Vigna Barberini, tra la residenza imperiale sul Palatino e il tempio di Venere e Roma.
    La recente scoperta a Villa Adriana di un’esedra monumentale con una ricca decorazione scultorea di gusto egittizzante, il cosiddetto Antinoeion, ha riaperto la questione della tomba di Antinoo; ma sembra incontestabile l’idea di un rapporto particolare delle scene dei tondi dell’arco di Costantino con la figura del favorito imperiale. In effetti il giovane bitinio compare in tutti i tondi, ad eccezione di quello che raffigura il sacrificio ad Apollo; nella serie dei rilievi sarà forse da leggersi una sorta di “storia sacra” della vita del favorito imperiale, scandita, con un chiaro

    Caccia al Leone – Arco di Costantino.

    intento di eroizzazione, dalla sua partecipazione al fianco di Adriano, appassionato di arte venatoria, come sappiamo dalle fonti antiche, a battute di caccia, compresa quella, da riconoscere nel tondo con la caccia al leone, nel deserto egiziano, in cui il giovane aveva rischiato la vita proprio pochi giorni prima della sua tragica fine ad Hermoupolis; la sequenza doveva concludersi proprio con il sacrificio ad Apollo, in cui il giovane non compare perché già divinizzato ed assimilato al dio delfico. Il tema della composizione si configura dunque come assolutamente inedito, privo di precedenti nella tradizione dell’arte ufficiale romana, perché intimamente legato al vissuto dell’imperatore, al suo privato, per quanto rielaborato in un monumento rivolto al pubblico; e l’abusato linguaggio formale classico trova accenti di rinnovata autenticità per esprimere i sentimenti di un uomo cui la Yourcenaur fa dire: «L’impero, l’ho governato in latino […]; ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto».

    Roma, 30 giugno 2018