Racconto biografico

Giuseppe Gioachino Belli e alcuni luoghi ed eventi nella sua Roma (1/4)

di Maurizio Perfetti

Maurizio Perfetti da anni si occupa di Gioacchino Belli. Ha scritto per Roma Felix un racconto biografico del poeta romanesco, che pubblicheremo in quattro parti, punteggiandolo con i sonetti e corredandolo di un’estesa e dettagliata bibliografia.

DA ROMA A CIVITAVECCHIA E RITORNO
Mai banale o “uniforme” l’evolversi della vita (Roma, 7 settembre 1791 – 21 dicembre 1863) di G.G.Belli (che in futuro siglerà in vario modo le sue opere (GGB, 996, Peppe er tosto, Del medemo, ecc).

Giuseppe Gioacchino Belli

Giuseppe Gioachino Belli

Alla nascita (Palazzetto Capranica, via dei Redentoristi 13, angolo via Monterone), in una famiglia relativamente benestante (il padre, Gaudenzio, ragioniere in una casata nobile e la madre, la bella Luigia Mazio) sono seguite per i genitori e per il figlio una serie di vicissitudini che peseranno sempre nell’animo e nel carattere del nostro futuro poeta. Il padre, poco accortamente nonostante il mestiere, si comporta con insensata prodigalità, circondandosi di “amici” che approfittano delle sue sostanze e anche della presenza di una moglie che ha tutto il modo di atteggiarsi con civettuola leggerezza verso i furbi ospiti, suscitando persino una precoce gelosia nel bambino. Presto però la famiglia si trasferisce da Roma a Civitavecchia (in edificio dell’attuale via Pietro Manzi, 30), dove papà Gaudenzio ha ottenuto un buon lavoro presso gli uffici che governano i traffici dello scalo navale così importante per lo Stato Pontificio.

Tra alti e bassi gli affari di famiglia procedono comunque, e analogamente accade per le vicende politiche legate al succedersi delle figure papali (Pio VI e Pio VII, poi verranno Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI e il Beato Pio IX), in mezzo alle ondate rivoluzionarie europee di fine ‘700 e all’alternarsi delle pressioni di ogni tipo dovute ai contrastanti interessi dei vari Stati limitrofi a quelli della futura Italia (regno di Napoli, Francia, Austria, ecc.), mentre si risentono echi sempre nuovi e allarmanti di possibili rivolte e cambiamenti istituzionali: dopotutto il Re dei Francesi Luigi XVI viene deposto nel 1792 e ghigliottinato a Parigi il 21 gennaio 1793.
Due eventi decisivi, nella storia del giovanissimo Gioachino sono, in rapida tragica successione, la morte di un cugino del padre (il generale Gennaro Valentini fuggitivo verso Napoli, fucilato il 1798 in piazza Montecitorio, dai francesi temporanei “padroni” dell’Urbe ) e quella (1802) del padre Gaudenzio (per il contagio di colera contratto nel soccorrere imprudentemente i portuali di Civitavecchia colpiti dal male.).
Dopo queste vicissitudini, Luigia rimasta vedova e Gioachino con i fratelli (Carlo e Virginia che diventerà suora) trovano povera ospitalità presso parenti (gli zii non molto accoglienti Vincenzo e Teresina) a Roma (via del Corso 391). Passano pochi anni abbastanza stentati e muore mamma Luigia (1807).

Principe Stanislao Poniatowski

Principe Stanislao Poniatowski

Il ragazzo, ora orfano anche della madre, se la cava con qualche lavoretto presso i nobili Rospigliosi (palazzo Rospigliosi-Pallavicini, di fronte a Quirinale-Montecavallo), trova precaria ospitalità presso i Padri Cappuccini di via Veneto (famosi per la cripta della Chiesa tutta decorata con le ossa dei confratelli defunti) e continua gli studi (1803-08) presso il prestigioso Collegio Romano (nella piazza omonima), quando ha l’opportunità (1812) di essere assunto, ventunenne, nella residenza di Palazzo Poli, come segretario dal Principe Stanislao Poniatowsky nipote del re di Polonia.
Il Principe ha appena commissionato all’architetto Valadier la ristrutturazione di un palazzo detto per la sua struttura “er grisino” (via della Croce, 21) e si dimostra uno dei personaggi più facoltosi della Roma del tempo. Anche il Valadier sarebbe poi rimasto nella storia dell’Urbe per la sistemazione della vicina e importante Piazza del Popolo (la cui Porta segnava l’ingresso a Roma dei pellegrini e viaggiatori provenienti dal Nord).

IL PRINCIPE, LA POPOLANA E IL POETA A PALAZZO POLI
La giovane età del nostro Gioachino e la situazione familiare del ricco e attempato principe,

Cassandra Luci

Cassandra Luci

sposato tardivamente con la procace giovane popolana Cassandra Luci (“ribattezzata” Caterina in onore della zarina russa) che si dimostra non insensibile ad un certo fascino del segretario-poeta di casa, danno luogo, nel ristretto ambiente di Palazzo Poli, a inevitabili chiacchiere delle quali poco si conosce (anche se Gioachino stesso qualcosa ne scrive), ma che hanno come esito il licenziamento da casa “pignatosta” (così il cognome polacco viene “ufficialmente romanizzato”). D’altra parte, curiosità di quei tempi, il marito precedente (tale Benloch, nomen omen?) della popolana aveva scelto di piazzarla tra la nobiltà, abdicando al suo ruolo e ai “diritti del matrimonio” con un regolare contratto e compenso mensile, per di più anche trasferendosi a Milano. La situazione diverrà “regolare” con la vedovanza di lei, che nel frattempo aveva dato in dieci anni al Principe cinque figli che pertanto diventeranno nobili, ma con il cognome dell’intraprendente loro madre…
Gioachino, comunque è sempre curioso di scienze, letteratura, biblioteche (frequenta in particolare quella di Palazzo Albani) e socializza, si direbbe oggi, nel modo classico del tempo, partecipando alle Accademie (Associazioni di “intellettuali” vari, in specie letterati). In tal modo conosce e si fa conoscere dai colleghi e da un pubblico più ampio: presso l’Accademia Tiberina, che ha contribuito a fondare, legge le sue prime prove, in Italiano; sede iniziale (1809) è stabilita a Palazzo de’ Sabini, in Via della Muratte, mentre nel 1878 papa Leone XIII darà alla rinomata istituzione culturale nuova ospitalità permanente nel palazzo della Cancelleria Apostolica.
Nel frattempo non manca di “distrarsi”, frequentando gli ambienti di teatro (e le attrici), in particolare il Valle e l’Argentina nei quali avrà modo di assistere a spettacoli di vario livello e commentando come critico per i fogli specializzati, da par suo ma per quanto possibile, tenendo conto della censura e delle sue personali “simpatie” o meno. E’ bene ricordare che al Teatro Argentina fu dato per la prima assoluta (nel 1816, ma nell’occasione senza successo, cosa che capita talvolta nelle prime) il capolavoro dell’opera lirica buffa “Il Barbiere di Siviglia” del pesarese Gioachino Rossini, un quasi coetaneo (Pesaro, 1792) del Gioachino romano che è amico (e in futuro sarà consuocero) di Jacopo Ferretti, librettista. Curiosità “operistica”: libretto e musica dell’immortale capolavoro (probabilmente il più eseguito al mondo) furono composti in poco più di 20 giorni, un record.

I Sonetti - G. G. Belli - Mondadori

I Sonetti – G. G. Belli – Mondadori

Nelle varie edizioni moderne e dunque nella monumentale integrale in tre volumi de “I SONETTI” (ed. Mondadori, 1952), curata, annotata e commentata mirabilmente da Giorgio Vigolo, compare al primo posto (come in quasi tutte le edizioni) un sonetto in romanesco del 1818-19 (senza data né titolo, che infatti Belli stesso avrebbe poi scelto di rifiutare alla pubblicazione come vari altri annotando il manoscritto con un suo “NO”), è dedicato appunto ad un’occasione cultural-conviviale dell’Accademia. Tra altro si noterà che il “locutore” (il soggetto) è il Poeta stesso e non, come sarà poi in quasi tutti i Sonetti Romaneschi del “Commedione”, il “popolo” del quale sembra di cogliere l’”audio” nella sua naturalità espressiva.
Questo è dunque, con i suoi limiti, il primo dei 2279 sonetti romaneschi (composto nel 1818-19):

Lustrissimi: co’ questo mormoriale
V’addimando benigna perdonanza,
Se gni fiasco de vino igni pietanza
Non fussi stata robba pella quale.

Sibbè che pe’ nun essece abbonnanza
Come ce n’è piú mejjo er carnovale,
O de pajja o de fieno, o bene o male
Tanto c’è stato da rempí la panza.

Ma già ve sento a dí: fior d’ogni pianta,
pe la salita annamo e pe la scenta,
Famo li sordi, e ’r berzitello canta.

Mo sentiteme a me: fiore de menta,
De pacienza co’ voi ce ne vò tanta,
E buggiarà pe’ bbio chi ve contenta.

Sarà Belli stesso a scrivere una “introduzione” nella quale descrive il significato del suo lavoro, l’ispirazione “popolare” di cui si è fatto interprete, fornendo anche una specie di glossario per facilitare la corretta lettura e pronuncia dei suoi versi.

Per la seconda parte.

La scelta dei sonetti di seguito elencati e la loro suddivisione in alcune categorie è del tutto personale e “arbitraria”, dettata dal desiderio di accompagnare i lettori verso l’opera del grande autore romano, nell’auspicio che chi vuol possa avvicinarsi con qualche curiosità e familiarità alla lettura integrale di un capolavoro
I Sonetti Romaneschi scelti ed elencati in appendice, con gli opportuni “link”, sono raggruppati per semplicità (ma alquanto arbitrariamente) in alcuni elenchi, sotto vari titoli.
Potete accedervi qui.

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