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  1. Memoria, storia, arte: Cimitero Monumentale del Verano

    Non è solo un cimitero. Ma un pilastro dell’Urbe che custodisce la

    Ingresso del Cimitero del Verano – Roma.

    memoria e ne fa un’opera d’arte, con i suoi lunghi viali silenziosi ombreggiati dagli alberi. Abitato da angeli piangenti e da volti che racchiudono storie. I destini della gente comune, accanto a giganti dell’arte, della letteratura e della Storia, quella grande.
    Il Cimitero Monumentale del Verano è tutto questo. E non ha nulla da invidiare – salvo che per la cura e la manutenzione, ovviamente – ai cimiteri parigini di Père-Lachaise, Montparnasse, Montmartre.
    Il Verano è luogo di sepoltura da venti secoli, almeno. A testimoniarlo l’esistenza di una necropoli romana, le cosiddette catacombe di Santa Ciriaca. Il nome gli deriva dall’antico campo dei Verani, gens senatoria della Repubblica romana. Qui fu sepolto il martire Lorenzo, la cui basilica, proprio a due passi dal cimitero, ospita le sue spoglie, insieme con quelle di Stefano, il primo martire della storia cristiana.
    Fondato lungo la via consolare Tiburtina durante il regno napoleonico del 1805-1814, in ossequio all’editto di Saint Cloud del 1804 che imponeva le sepolture al di fuori le mura della città. Ricalcando, di fatto, l’antica legge romana che proibiva le sepolture all’interno del Pomerio, il sacro confine di Roma.

    Tomba di Goffredo Mameli – Verano – Roma.

    Il progetto fu affidato a Giuseppe Valadier tra il 1807 e il 1812. Consacrato nel 1835,i lavori proseguirono con i pontificati di Gregorio XVI e di Pio IX, sotto la direzione di Virginio Vespignani. L’edificazione del cimitero continuò anche dopo l’avvento di Roma capitale, 1870-1871, inglobando importanti appezzamenti come, ad esempio, villa Mancini sulla quale sorge l’area del Pincetto. L’ingresso principale a tre fornici reso imponente dalla presenza di quattro grandi statue che rappresentano la Meditazione, la Speranza, la Carità e il Silenzio, precede un ampio quadriportico, opera del Vespignani, completato nel 1880. L’attuale configurazione è successiva al bombardamento del quartiere San Lorenzo, 19 luglio 1943, in cui il Verano subì danni localizzati in tre aree: l’ingresso monumentale con il Quadriportico e il Pincetto, gli uffici della direzione e la zona davanti al Sacrario Militare. Esteso su un’area di 83 ettari circa, il Cimitero, con il suo patrimonio di opere d’arte, costituisce un museo all’aperto che non ha eguali per la quantità e la particolarità delle testimonianze: un inestimabile valore sotto il profilo storico-artistico e culturale. Una sorta di esposizione permanente di opere d’arte il cui stile va dal neoclassicismo al liberty. Sull’ingresso vegliano la Meditazione, la Speranza, la Carità e il Silenzio, quattro statue imponenti. Superato il quadriportico, il cui colonnato inquadra alcune tombe a parete e culmina nella chiesetta di Santa Maria della Misericordia, ci si trova immersi nella tranquillità delle cappelle e dei monumenti funebri. Proseguendo, ci si imbatte della

    Tomba di Ettore Petrolini – Verano – Roma.

    Scogliera del Monte: in questa affascinante area del Verano le lapidi si arrampicano su gradoni ricoperti di pietre che, in cima, ospitano delle cappelle. Bellissimi i ritratti realizzati da Filippo Severati nella seconda metà dell’Ottocento: all’epoca, opere di avanguardia realizzate con una tecnica particolare chiamata “smalto su lava”. In questa “città della memoria collettiva” di Roma, molti gli itinerari “a tema”: gli aspetti monumentali, quelli architettonico-urbanistici, le arti decorative e applicate, le memorie risorgimentali e della grande guerra, i letterati, i grandi del cinema e del teatro, i politici. Il pantheon dei nomi illustri è impressionante. Tra i letterati, ne citiamo solo alcuni: Sibilla Aleramo, Gioachino Belli, Trilussa, Massimo Bontempelli, Emilio Cecchi, Grazia Deledda, Natalia Ginzburg, Alberto Moravia, Elsa Morante, Gianni Rodari, Amelia Rosselli, Giuseppe Ungaretti, Elio Fiore. Tra i politici, patrioti, storici e intellettuali: Gaetano Tognetti Goffredo Mameli, Famiglia Garibaldi, Leonida Bissolati, Enrico Toti, Ernesto Nathan, Giorgio

    Tomba di Trilussa – Verano – Roma.

    Amendola, Ugo Trentin, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat, Pietro Secchia, Giulio Andreotti, Armando Cossutta, Paolo Bufalini, Francesco Saverio Nitti, Lucio Colletti, Tullio De Mauro, Ugo Spirito, Giuseppe Di Vittorio, Leone Ginzburg, Nilde Iotti, Palmiro Togliatti, Luciano Lama, Ugo La Malfa, Ugo Longo.
    Poi, gli artisti, gli architetti e gli storici: Giacomo Balla, Pietro Canonica, Cesare Pascarella, gli architetti Marcello e Pio Piacentini, Enrico Lattes, Enrico Prampolini, Ettore Roesler Franz, Alberto Savinio, Rodolfo Lanciani, Giovan Battista De’ Rossi.
    Per il cinema, il teatro: Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Aldo Fabrizi, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Alida Valli, Roberto Rossellini, Francesco Rosi, Alessandro Blasetti, Nanni Loy, Luigi Zampa, Carlo Lizzani, Luigi Magni, Elio Petri, Gillo Pontecorvo, Eduardo, Peppino e Luigi De Filippo, Vittorio De Sica, Checco Durante, Fiorenzo Fiorentini, Rina Morelli, Paolo Stoppa, Mario Scaccia, Amedeo Nazzari, Carlo Pedersoli, Bud Spencer,, Ettore Petrolini. Infine, la musica e la televisione: Giuseppe Sinopoli, Nino Rota, Gabriella Ferri, Rino Gaetano, Mario Riva, Raimondo Vianello.

    Roma, 6 maggio 2019

  2. Gita di Pasquetta: dall’Isola Tiberina e al Ghetto ebraico

    L’Isola Tiberina, un territorio di modeste proporzioni 300 metri di lunghezza per 80 di larghezza, è tuttavia trasfigurata dalla leggenda: essa sarebbe nata sui depositi di grano dei Tarquini gettati nel Tevere dai Romani in rivolta perché volevano la loro

    Isola Tiberina – Giovan Battista Pitanesi.

    cacciata, o, per la sua forma, da una nave incagliata, prescelta dal serpente di Esculapio, trasformazione animale di Esculapio stesso, per arrivare esattamente in quel punto del Tevere, e far costruire proprio lì ai Romani un tempio dedicato al dio guaritore più importante della cultura greca.
    Sollecitati proprio da questo racconto misterico l’isola, in realtà originatasi dall’azione erosiva esercitata dal Tevere e da due o tre suoi affluenti sulle propaggini più estreme del colle Capitolino, fu foggiata in antico a forma di trireme – se ne vedono alcuni ruderi della poppa sul fianco settentrionale, retrostante alla chiesa di San Bartolomeo – e rimase consacrata al dio della medicina Esculapio, il cui culto fu introdotto a Roma nel 291 avanti Cristo, e a cui fu dedicato un tempio costruito effettivamente proprio sull’isola.
    Il tempio fungeva da vero e proprio ospedale, come testimoniano numerose iscrizioni che parlano di guarigioni miracolose avvenute presso il tempio, i numerosi ex voto e le dediche alla divinità. Gli ammalati venivano curati soprattutto con l’acqua.
    Il tempio di Esculapio non era però l’unico che era stato costruito sull’Isola Tiberina, poiché sono stati identificati i resti del tempio di Veiove, di Fauno e il tempio Tiberino dedicato al dio Tevere.
    Il carattere sacro e quello legato alla cura degli infermi sono due aspetti dell’Isola Tiberina che permangono nel corso del passare del tempo. Così, sul tempio di Esculapio, in epoca cristiana, fu edificato, sin dall’anno Mille, un santuario – ricovero per prestare aiuto e cure ai poveri.

    Moneta antica che ricorda l’episodio del serpente di Esculapio.

    Nella seconda metà del Cinquecento, la struttura fu trasformata in “fabbrica della salute” ovvero in un’organizzazione basata sull’opera non più meramente assistenziale ma in cui operavano medici e infermieri. Nel 1585, fra Pietro Soriano grazie all’intervento di papa Gregorio XIII, vi fondò una confraternita di soccorso ai malati secondo la regola di San Giovanni di Dio, chiamati popolarmente Fatebenefratelli, che introdusse innovazioni sanitarie particolarmente rivoluzionarie al tempo, come ad esempio l’allettamento di ciascun paziente in un singolo letto a lui riservato e la suddivisione dei malati in relativi reparti specializzati a seconda della loro patologia. La struttura fu già molto importante durante l’epidemia a Roma della peste del 1558, ma lo fu in particolare durante l’epidemia di colera, nel 1832, per l’efficacia delle cure prestate alla popolazione. Nonostante l’ospedale avesse mantenuto la sua autonomia anche sotto la dominazione francese, a seguito degli eventi dopo la breccia di Porta Pia, nel 1878 fu sottratto all’ordine religioso dei Fatebenefratelli, per tornarvi nel 1892. Alla fine dell’Ottocento l’ospedale fu rinforzato contro le piene del Tevere con una serie di muraglioni di contenimento. Ma è soprattutto dopo gli ammodernamenti e gli ampliamenti del 1992 che l’ospedale acquisì le caratteristiche di una moderna struttura sanitaria. Il nome “San Giovanni Calibita Fatebenefratelli” è stato assegnato all’ospedale nel 1972.
    La vocazione medica dell’Isola è confermata anche dalla presenza dell’Ospedale Israelitico, proprio accanto alla chiesa di San Bartolomeo. Le origini di questo secondo ospedale risalgono al 1600 e il suo scopo fu di provvedere un minimo di assistenza sanitaria agli ebrei di Roma, privati, dalle norme sulla reclusione nel ghetto, dell’accesso agli ospedali di allora. Dopo il 1884 l’amministrazione comunale decise di dare in concessione alla comunità ebraica per un ospedale, il vecchio convento vicino alla chiesa di San Bartolomeo.
    Nel 1834 durante l’epidemia di colera le autorità del tempo, temendo la diffusione del contagio, concessero solo temporaneamente l’istituzione di un lazzaretto per gli ebrei di Roma, sito nel Palazzo Cenci.

    Mappa Lanciani, 1983. In alto a sinistra si vede l’altra isola che si trovava accanto all’Isola Tiberina.

    L’Isola Tiberina in antico era accompagnata da un’isola più piccola, più vicina al Ghetto Ebraico, ancora presente nella mappa di Rodolfo Lanciani tracciata nel 1893 poco prima della costruzione dei muraglioni che la faranno sparire.
    L’Isola Tiberina ospitò le prime popolazioni italiche che si attestavano sui colli della Riva Sinistra del Tevere e ne condivise le sorti. Essa fu perciò da subito inclusa in questa parte della città, rimanendo ancora oggi esclusa dal Trans Tiberim, visto che anche amministrativamente essa appartiene al Rione Ripa che, all’altezza del Teatro di Marcello, prosegue lungo la sponda tiberina fino all’Aventino e ai limiti del Testaccio.
    La forma di nave trireme fu accentuata ponendo un obelisco al centro dell’isola con funzione di albero maestro, successivamente sostituita da una colonna con la croce. Dell’obelisco sono conservati dei frammenti al Museo Nazionale di Napoli.
    La colonna invece fu detta “infame” perché ad essa era affissa, il 27 agosto di ogni anno, una tabella nella quale venivano indicati i nomi di coloro che non partecipavano alla messa nel giorno di Pasqua.
    L’uso perdurò fino al 1870 e tra i nomi illustri che finirono sulla colonna infame ci fu, nel 1834, quello del pittore di Trastevere Bartolomeo Pinelli. Questi si offese molto non tanto perché il suo nome era apparso nella lista dei miscredenti, quanto perché nella medesima lista egli era indicato quale “miniaturista” e non quale “incisore”.
    Un po’ di tempo dopo un carro andò a sbattere contro la colonna che per questo si spezzò in più parti. Solo nel 1869, per volere di Pio IX, la colonna fu sostituita con quella attuale.
    Per accedere all’Isola Tiberina, si attraversano due antichissimi ponti: il Fabricio e il Cestio. I due ponti sono i più antichi di Roma che giungono non modificati e ancora in uso fino a noi. Il Ponte Fabricio è il più antico ponte di Roma giunto fino a noi. L’attuale, costruito nel 62 avanti Cristo da Lucius Fabricius, curator viarum come è detto dalle due iscrizioni poste sulle due grandi arcate, sostituì uno in legno che lo precedette. Esso è detto anche “dei Quattro Capi”, grazie alle erme quadricipiti inserite nella balaustra, simulacri di Giano Quadrifronte, e che probabilmente

    Isola Tiberina – Caspar van Wittel – 1685.

    avevano il ruolo di sorreggere la balaustra in bronzo fatta rimuovere dal papa Innocenzo XI. Nel Medioevo il ponte Fabricio fu anche detto “Pons Judeorum” perché prossimo alla riva abitata dagli ebrei e sulla quale venne in seguito delimitato il Ghetto.
    Il ponte Cestio che oggi può essere attraversato è invece stato costruito nel 370 dopo Cristo e ne sostituisce uno a due fornici che risaliva al 46 avanti Cristo. Nel Seicento il ponte Cestio era detto “ponte ferrato” a causa delle numerose catene di ferro che tenevano ancorato i molini presenti sul fiume.
    Sulla sinistra de ponte Fabricio si leva la tozza torre che fu prima dei Pierleoni – quando vi stette Matilde di Canossa – per passare, in seguito, i Caetani che vi risiedettero fino al XV secolo.
    In fondo ad una piazzetta tranquilla si innalza la chiesa di San Bartolomeo, eretta alla fine del X secolo dall’imperatore germanico Ottone III e rimodernata nel 1624, dopo la piena rovinosa del 1557. La facciata è notevole per la ricerca di movimento mediante la contrapposizione di una zona inferiore a una superiore con finestre sormontate da un timpano molto pronunciato. All’interno, va segnalata la Cappella dell’Università dei Mugnai: si riferisce all’attività dei mulini fluviali a ruota che, fino al 1870, si addensavano soprattutto nei pressi dell’Isola Tiberina. E, nella navata destra, la Cappellina di San Carlo decorata da Antonio Carracci. Il bel campanile del 1113 è uno dei più armoniosi campanili romanici di Roma.

    Ghetto di Roma.

    Attraversato il Ponte Fabricio e un tratto del Lungotevere de’ Cenci, ci s’immette nel Ghetto ebraico, luogo di vicende dolorose degli ebrei romani.
    A Roma, come altrove, gli ebrei avevano vissuto sempre in una comunità riunita in ambito ristretto: nell’antichità risiedevano a Trastevere e, successivamente, nel XIII e XIV secolo si erano raccolti al Rione Sant’Angelo, presso l’Isola Tiberina, ricca allora di attività mercantili.
    Il 12 luglio del 1555 il papa Paolo IV Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani e ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato anche “serraglio degli ebrei”: Identificò a questo scopo una regione sempre nel rione Sant’Angelo, accanto al Teatro Marcello. Nella bolla papale oltre a specificare che gli ebrei dovevano risiedere nel ghetto e che nel ghetto non ci potesse essere più di una sinagoga, veniva anche deciso che essi dovessero portare un distintivo di “colore glauco” che li rendesse facilmente riconoscibili. Per gli uomini questo segno di riconoscimento fu un cappello giallo, per le donne una pezza di stoffa da portare sopra gli abiti. Molte delle restrizioni fissate dalla bolla di Paolo IV saranno poi riprese dalle leggi razziali emanate in Italia durante il Governo Fascista nel 1938. Inoltre l’obbligo a risiedere dentro il quartiere che, fino al 1848, possedeva delle vere e proprie mura con porte che erano aperte al mattino e richiuse la sera, fece sì che gli edifici nel tempo divenissero sempre più alti, collegati tra loro da ponti che facilitavano la fuga in occasione delle “incursioni” dei gentili, come ad esempio quelle che avvenivano durante il Carnevale romano. Il ghetto aveva quindi per lati maggiori il Tevere e il Portico d’Ottavia, mentre uno dei lati minori attraversava la piazza Giudea e l’altro raggiungeva dal fiume la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria.

    Via Rua – Ghetto di Roma – Ettore Roesler Franz.

    Dall’emissione della bolla papale l’atteggiamento dei papi fu altalenante; alcuni papi cercarono di alleviare le condizioni di vita degli ebrei romani, altri papi inasprirono l’atteggiamento nei confronti della comunità. Gregorio XIII, che fu papa alla fine del Cinquecento, ebbe un atteggiamento ambivalente: se da un lato cercò di alleviare la pressione sulla comunità ebraica dall’altro la vessò istituendo le “prediche coatte”. Queste si svolgevano di sabato e avevano l’obiettivo di indurre gli Ebrei di Roma alla conversione. Le prediche coatte si tennero su di un arco molto lungo, erano tenute in luoghi diversi tra i quali la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, la chiesa di San Gregorio al Ponte Quattro Capi e nel Tempietto del Carmelo.
    Sisto V, Felice Peretti, fu un papa che cercò di alleviare la pressione sulla comunità ebraica permettendo anche un ampliamento del ghetto, che arrivò a occupare una superficie di tre ettari. Un simile atteggiamento di maggiore disponibilità fu assunto anche da Paolo V Borghese, papa nella prima metà del 1600, il quale per sancire in qualche maniera il rispetto che la chiesa di Roma avrebbe portato alla comunità ebraica fece collocare nella piazza delle Scole una fontana nella quale il motivo araldico del drago alato dei Borghese si univa al candelabro con i sette bracci. Altri papi come Pio V e Clemente VIII furono decisamente più intransigenti.
    Uno spiraglio alle condizioni di estrema povertà della comunità ebraica si aprì una prima volta a seguito dell’occupazione francese di Roma del 1798 e la conseguente proclamazione della Prima Repubblica Romana, quando le porte del ghetto furono finalmente aperte e gli ebrei poterono uscire. In piazza delle Cinque Scole per sancire questo momento fu eretto un “albero della libertà”, ma la libertà durò veramente poco visto che meno di due anni dopo, con la cacciata delle truppe francesi, le condizioni di vita tornarono ad essere quelle di sempre. Di nuovo nel 1848 sembrò che le cose per la comunità ebraica potessero cambiare. Infatti Pio IX

    16 ottobre 1943. Rastrellamento nel Ghetto di Roma.

    per un certo periodo del suo pontificato sembrò ispirarsi alle idee repubblicane, e questo per gli ebrei si tradusse nel fatto che le mura del ghetto vennero abbattute. La libertà sembrò diventare ancora più concreta durante la Repubblica Romana del 1849, ma il ritorno del papa dopo la sconfitta della Repubblica spense di nuovo le speranze. Pio IX inasprito da quanto era accaduto, considerando la comunità ebraica in parte responsabile dell’esperienza della Repubblica, emanò leggi repressive nei confronti della comunità che riguardarono anche la libertà con cui gli ebrei potevano muoversi all’interno della città, sebbene le mura del ghetto non esistessero più. Si dovrà attendere l’unità d’Italia e la proclamazione di Roma capitale per avere un’equiparazione reale tra gli ebrei e gli altri romani. Ma anche questa sarà una parentesi che dal 1871 durerà in buona sostanza fino al 1938, quando Mussolini sceglierà di seguire Hitler sulla scelta discriminatoria nei confronti degli ebrei. L’episodio certamente più grave della storia della comunità ebraica a Roma sarà quello che si compirà il 16 ottobre del 1943 durante l’occupazione nazista della città. In questa data i Tedeschi, al comando di Kappler, in poche ore alle prime luci del mattino rastrellarono e deportarono ad Aschwitz milleduecentocinquantanove Ebrei di tutte le età. Di questi ritornarono a Roma in sedici di cui quindici uomini e una sola donna Settimia Spizzichino, che da subito scelse di testimoniare l’orrore che aveva vissuto.
    Dalla storia tragica degli Ebrei romani alla lieta nota del restauro di uno dei

    Veditori di pesce al Portico di Ottavia – Ettore Roesler Franz.

    monumenti più importanti che proprio al Ghetto fanno bella mostra di sé: il Portico di Ottavia, restituito da poco tempo all’ammirazione dei romani e dei visitatori. Si tratta del grandissimo portico quadrato che Augusto fece ricostruire, tra il 33 e il 23 avanti Cristo sul portico di Quinto Cecilio Metello Macedonico dedicandolo alla sorella Ottavia. All’interno del portico sorgevano due templi, quello di Giunone Regina e di Giove Statore, mentre facevano parte del portico stesso la biblioteca, che raccoglieva testi latini e greci, dedicata alla memoria di Marcello, figlio di Ottavia e la Curia Octaviae.
    Nell’80 dopo Cristo il complesso subì danni in seguito ad un incendio e fu probabilmente restaurato da Domiziano. Ancora nel 203 dopo Cristo, il portico e i templi furono ricostruiti e nuovamente dedicati da Settimio Severo e Caracalla, dopo le distruzioni dovute a un altro incendio. A seguito del terremoto del 441 dopo Cristo le colonne del propileo d’ingresso vennero sostituite dall’arcata tuttora esistente. Intorno al 770, a partire dal propileo d’ingresso, fu edificata la chiesa di “San Paolo in summo circo”, detta poi Sant’Angelo in Pescheria.
    La visita si conclude al Teatro di Marcello, i cui imponenti resti mostrano l’affascinante stratificazione di successive edificazioni nelle varie epoche. Il teatro, iniziato da Cesare, fu compiuto da Augusto tra il 13 e l’11 avanti Cristo e dedicato alla memoria dell’amatissimo Marco Claudio Marcello, suo nipote e genero prediletto, quest’ultimo era infatti figlio della sorella Ottavia e marito di sua figlia Giulia, morto non ancora ventenne nel 23 avanti Cristo e per il quale Virgilio scrisse i suoi famosi versi di rimpianto: «[…] Ohi, ragazzo degno di pianto: se mai rompessi i tuoi fati, tu resterai Marcello. Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l´anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo […]».

    Ricostruzione del Portico di Ottavia.

    L’imponente e severo monumento, che non di rado fu preso a modello dagli artisti del Rinascimento, era costituito da due ordini di quarantuno arcate ciascuno, coronati da un attico; la cavea, che si apriva ove attualmente è il giardino di Palazzo Orsini, poteva contenere circa quindicimila spettatori.
    Nell’era cristiana molti dei teatri romani caddero in disuso e questa sorte toccò anche al teatro Marcello, tanto che nel 370 parte del travertino della facciata che guardava verso il Tevere sembra che fu utilizzato per un restauro del ponte Cestio, mentre altro materiale di pertinenza della facciata si accumulava e veniva poi ricoperto dalle piene del Tevere stesso, dando origine a quello che oggi si chiama Monte Savello.
    Nel Medioevo ciò che era ancora in piedi del teatro veniva trasformato in una fortezza che appartenne prima ai Pierleoni, poi ai Faffo e quindi ai Savelli che tra il 1523 e il 1527 vi fecero costruire da Baldassarre Peruzzi i due piani del palazzo, il quale acquistò così forma definitiva e nel 1712 passò agli Orsini.
    Nell’area compresa tra il teatro di Marcello e il portico di Ottavia svettano le tre colonne angolari del tempio di Apollo Sosiano, eretto nel 433 avanti Cristo e rifatto nel 179 quando lo stesso dio viene indicato con l’appellativo di Apollo Medicus. Il nome Sosiano deriva invece dal nome del console Gaio Sosio che lo ricostruì, nel 34 avanti Cristo, forse a causa di un suo trionfo. I lavori furono interrotti a causa tra Ottaviano e Antonio, per riprendere l’anno dopo quando Augusto si riconciliò con Sosio.

    Portico di Ottavia – Giovan Battista Piranesi.

    Accanto a questo tempio infine sorgeva quello di Bellona, dea della guerra italica a cui fu dedicato il tempio nel 296 avanti Cristo. Il tempio si trovava fuori dal pomerium e in vicinanza delle mura, per questo motivo ospitò diverse riunioni del Senato quando a queste partecipavano personaggi stranieri, appartenenti ad ambascerie di altri popoli, o comandanti militari qualora essi fossero in armi ad esempio perchè dovevano partire per la guerra.

    Roma, 26 marzo 2018

  3. Bellezza, storia e memoria: Museo Ebraico di Roma e Ghetto

    Oltre duemila anni di storia della comunità ebraica di Roma e del suo straordinario legame con la città sono racchiusi nello splendido Museo Ebraico, allestito all’inter-

    Una delle sale del Museo Ebraico.

    no del Tempio Maggiore che sorge nell’area che fu il ghetto di Roma.
    Inaugurato nel 1960, il museo riunisce le raccolte della comunità romana arricchite dal contributo degli Ebrei libici, giunti a Roma nel 1967. All’inizio era solo un piccolo ufficio allestito, dietro l’Arca Santa della Sinagoga, per accogliere i turisti che visitavano il tempio e il ghetto. Tra il 2000 e il 2001, grazie ai visitatori che negli anni si sono moltiplicati, la direzione del museo ha deciso di ingrandire l’ufficio e trasformarlo in un vero e proprio museo, attribuendogli il nome ufficiale di “Il Museo Ebraico”. I lavori di restauro sono durati cinque anni e l’inaugurazione è avvenuta il 22 novembre 2005.
    L’allestimento attuale mette in risalto l’immortale fascino di una religiosità e di una cultura antica, che è raccontata attraverso 1500 arredi tra argenti romani del Sei e Settecento, pregiati tessuti provenienti da ogni parte d’Europa, pergamene miniate, calchi, paramenti e oggetti sacri, spesso inseriti nella ricostruzione di vere e proprie scene di vita tradizionale.

    Una delle scene allestite all’interno del Museo Ebraico

    Completano l’allestimento l’esposizione dei marmi provenienti dalle Cinque Scole, le cinque scuole ebraiche, ovvero le cinque sinagoghe, che avevano sede nel grande edificio che insiste oggi su Piazza delle Cinque Scole. Le cinque scuole erano: la Scola Nova, la Scola del Tempio, la Siciliana, di rito italiano, la Castigliana, di rito spagnolo, e la Catalana, la più importante dal punto di vista architettonico, costruita da Girolamo Rainaldi nel 1628. Intorno a ciascuna sinagoga si raccoglieva una comunità ebraica che si differenziava dalle altre in base alla provenienza e anche, in parte nel rito. La Scola del Tempio ad esempio era frequentata dagli ebrei locali, la Scola Nova da quelli che venivano dai piccoli centri del Lazio, quella Siciliana era per gli Ebrei profughi dall’Italia meridionale, mentre quella Catalana e quella Castigliana era per gli Ebrei profughi dalla Spagna. Queste ultime tre sinagoghe seguivano il rito sefardita. L’arrivo delle tre comunità di rito sefardita dalla Spagna, dalla Sicilia e dal Portogallo risale al 1492.
    I marmi raccolti coprono un periodo che va dal XVI al XIX secolo, e documentano aspetti diversi della comunità ebraica romana, quali ad esempio l’acquisizione di terreni per l’allestimento di un cimitero o la proibizione di portare il pane lievitato vicino al forno per le azzime.

    Parochet rossa esposta all’interno del Museo Ebraico


    Nel museo sono anche raccolti i documenti della propaganda fascista contro gli Ebrei e altri oggetti che segnarono gli anni della guerra durante i quali, solo dal ghetto di Roma, all’alba del 17 ottobre 1943, 1259 persone della comunità furono rastrellate, per essere deportate e uccise nei campi di concentramento nazisti.
    Durante la visita sarà possibile ammirare anche i vestiti e i paramenti indossati per i rituali propri della comunità ebraica italiana. Il rito degli Ebrei italiani è, infatti, differente da quello degli altri riti ebraici poiché la comunità romana non è né sefardita, ovvero legata agli Ebrei provenienti dalla penisola iberica, né ashkenazita, ovvero legata agli Ebrei provenienti dall’Europa orientale.
    Gli Ebrei a Roma sono, forse, i soli abitanti della città che possono vantare una presenza ininterrotta di oltre duemila anni. Essi, sulle rive del Tevere, infatti, costituirono una delle comunità più antiche in Europa. Il primo insediamento ebraico in Italia, a Ostia antica lungo la via Severiana, risale alla prima metà del I secolo avanti Cristo, così come testimoniato dai resti della Sinagoga, ancora oggi considerata la più antica in mondo Occidentale mai riportata alla luce, alcuni reparti della quale sono conservati proprio all’interno del museo.
    Praticamente contemporaneo dovrebbe essere il primo nucleo della comunità ebraica romana che si accrebbe notevolmente con l’arrivo dei prigionieri portati a Roma tra il 63 e il 61 avanti Cristo, in seguito alla campagna di guerra di Pompeo in Giudea, anche se le prime testimonianze di contatti ufficiali tra Gerusalemme e Roma risalgono alle ambascerie inviate dai Maccabei a partire dal 161 avanti Cristo, per stringere patti di alleanza con i Romani contro il predominio dei Seleucidi.
    Da quanto scrive Cicerone nell’orazione Pro Flacco, questa comunità iniziale era strettamente legata a quella palestinese tanto che ancora nel 59 avanti Cristo essa mandava il contributo per il Tempio.

    Uno degli argenti conservati all’interno del Museo Ebraico.


    E’ di fatto impossibile riassumere la storia di una comunità così antica in poche righe, ma un altro evento importante è la rivolta degli Ebrei al governo romano che si tradusse nelle guerre giudaiche che si succedettero dal 66 al 135 dopo Cristo. La conclusione della Prima Guerra Giudaica, dal 66 al 70 dopo Cristo, fu segnata dalla distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito.
    I bassorilievi dell’arco di Tito, che raffigurano il corteo trionfale dell’imperatore, con il candelabro a sette bracci e gli arredi depredati dal Tempio, tramandano la memoria della conquista di Gerusalemme, in seguito alla prima Guerra Giudaica intrapresa da Vespasiano e portata a termine dal figlio. Si sanciva così la dispersione degli Ebrei nell’Impero. Con l’arrivo degli schiavi portati da Tito e i numerosi esuli, Roma divenne sede di una delle più importanti comunità della diaspora, contando a quel punto circa 50.000 presenze ebraiche.
    Fino al 1555 gli Ebrei romani vissero sostanzialmente liberi, sebbene vessati, all’interno della città. Fu, infatti, in questo anno che Paolo IV revocò la maggior parte dei diritti della comunità e ordinò la costruzione del serraglio, ovvero del Ghetto all’interno del quale la comunità fu fino al 1870, quando con l’unità si ebbe l’equiparazione dei cittadini di origine ebraica con gli italiani.

    Libri scampati al passaggio dei nazisti nel Ghetto di Roma.


    All’interno del museo è allestita una sala che riguarda anche la lingua e la cucina, lo spazio urbano e l’architettura, l’istruzione e gli organismi di assistenza, ovvero la vita quotidiana nel ghetto di Roma. E’ anche per questo che alla visita al museo farà seguito una passeggiata nelle strade e nei vicoli di ciò che resta del Ghetto di Roma.
    Per un ulteriore approfondimento sulla storia del Ghetto si rimanda all’articolo “Roma degli Ebrei. Il Ghetto”.

    Roma,

  4. Roma degli Ebrei. Il Ghetto

    Roma è sede della maggiore comunità ebraica d’Italia con circa quindicimila persone.

    Ghetto prima della costruzione dei Muraglioni

    Ghetto prima della costruzione dei Muraglioni

    Ma l’antico ghetto non c’è più, anche se i romani continuano a chiamare ghetto la zona in cui esso si estendeva. Le mura che lo cingevano infatti furono abbattute nel 1848, anche se questo purtroppo non volle dire vera libertà per la comunità ebraica romana.
    La parola “ghetto” viene da Venezia e forse deriva dal luogo di concentrazione degli ebrei presso la fonderia (o “getto”) dell’Isola della Giudecca.
    A Roma, come altrove, gli ebrei avevano vissuto sempre in una comunità riunita in ambito ristretto: nell’antichità risiedevano a Trastevere e, successivamente, nel XIII e XIV secolo si erano raccolti al Rione Sant’Angelo, presso l’Isola Tiberina, ricca allora di attività mercantili.
    Il 12 luglio del 1555 il papa Paolo IV Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato anche “serraglio degli ebrei”: Identificò a questo scopo una regione sempre nel rione Sant’Angelo, accanto al Teatro Marcello.
    Nella bolla papale oltre a specificare che gli ebrei dovevano risiedere nel ghetto e che nel ghetto non ci potesse essere più di una sinagoga, veniva anche deciso che essi dovessero portare un distintivo di “colore glauco” che li rendesse facilmente riconoscibili.

    Mercato del pesce - Portico d'Ottavia - Roesler - Franz

    Mercato del pesce – Portico d’Ottavia – Roesler – Franz

    Per gli uomini questo segno di riconoscimento fu un cappello giallo, per le donne una pezza di stoffa da portare sopra gli abiti.
    Molte delle restrizioni fissate dalla bolla di Paolo IV saranno poi riprese dalle leggi razziali emanate in Italia durante il Governo Fascista nel 1938.
    Altre furono le limitazioni imposte agli ebrei con questa bolla, quali ad esempio il fatto che non potessero esercitare alcun tipo di commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati, fatto che ancora oggi sopravvive nella consuetudine che uno dei lavori più frequenti degli ebrei è quello di vendere abbigliamento e complementi.
    Veniva inoltre stabilito che gli ebrei non potessero possedere beni immobili (ovvero essere proprietari di abitazioni). Essi potevano poi scambiare denaro e maneggiare l’oro.
    Proprio per l’impossibilità di possedere beni immobili gradualmente il ghetto assunse sempre più un aspetto degradato.
    Inoltre l’obbligo a risiedere dentro il quartiere che fino al 1848 possedeva delle vere e proprie mura con porte che venivano aperte al mattino e richiuse la sera, fece si che gli edifici nel tempo divenissero sempre più alti, collegati tra loro da ponti che facilitavano la fuga in occasione delle “incursioni” dei gentili, come ad esempio quelle che avvenivano durante il Carnevale romano.
    Il ghetto aveva quindi per lati maggiori il Tevere e il Portico d’Ottavia, mentre uno dei lati minori attraversava la piazza Giudea e l’altro raggiungeva dal fiume la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria.

    Piazza delle Azimelle - Ghetto - Roesler Franz

    Piazza delle Azimelle – Ghetto – Roesler Franz

    Vista la vicinanza con il Tevere e la collocazione in un’ansa del fiume spesso soggetta ad esondazione, soprattutto gli edifici che guardavano verso l’alveo, in un momento in cui i Muraglioni non erano stati ancora costruiti, portavano i segni delle inondazioni che nel tempo si erano succedute.
    Dall’emissione della bolla papale l’atteggiamento dei papi fu altalenante; alcuni papi cercarono di alleviare le condizioni di vita degli ebrei romani, altri papi inasprirono l’atteggiamento nei confronti della comunità.
    Sisto V, Felice Peretti, fu ad esempio un papa che cercò di alleviare la pressione sulla comunità ebraica permettendo anche un ampliamento del ghetto, che arrivò ad occupare una superficie di tre ettari.
    Un simile atteggiamento di maggiore disponibilità fu assunto anche da Paolo V Borghese (prima metà del 1600), il quale per sancire in qualche maniera il rispetto che la chiesa di Roma avrebbe portato alla comunità ebraica fece collocare nella piazza delle Scole una fontana nella quale il motivo araldico del drago alato dei Borghese si univa al candelabro con i sette bracci.
    Gregorio XIII papa alla fine del cinquecento ebbe un atteggiamento ambivalente: se da un lato cercò di alleviare la pressione sulla comunità ebraica dall’altro la vessò istituendo le “prediche coatte”. Queste si svolgevano al sabato ed avevano l’obiettivo di essere un mezzo di conversione degli ebrei di Roma. Le prediche coatte si tennero su di un arco molto lungo, erano tenute in luoghi diversi tra i quali la chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, la chiesa di San Gregorio al Ponte Quattro Capi e nel Tempietto del Carmelo.

    Via della Fiumana allagata - Roesler - Franz

    Via della Fiumana allagata – Roesler – Franz

    La tradizione vuole che gli ebrei ascoltassero queste prediche turando le orecchie con della cera. La tradizione viene immortalata nel film di Luigi Magni: Nell’anno del Signore.
    Altri papi come Pio V e Clemente VIII furono decisamente più intransigenti.
    Le condizioni economiche e sociali all’interno del ghetto andarono via via sempre più peggiorando. La gran parte della popolazione che vi abitava versava in condizioni di grande povertà.
    Uno spiraglio alle condizioni di estrema povertà della comunità ebraica si aprì una prima volta a seguito dell’occupazione francese di Roma del 1798 e la conseguente proclamazione della Prima Repubblica Romana, quando le porte del ghetto furono finalmente aperte e gli ebrei poterono uscire. In piazza delle Cinque Scole per sancire questo momento venne eretto un “albero della libertà”, ma la libertà durò veramente poco visto che meno di due anni dopo, con la cacciata delle truppe francesi, le condizioni di vita tornarono ad essere quelle di sempre.
    Di nuovo nel 1848 sembrò che le cose per la comunità ebraica potessero cambiare. Infatti Pio IX per un certo periodo del suo pontificato sembrò ispirarsi alle idee repubblicane, e questo per gli ebrei si tradusse nel fatto che le mura del ghetto vennero abbattute. La libertà sembrò diventare ancora più concreta durante la Repubblica Romana del 1849, ma il ritorno del papa dopo la sconfitta della Repubblica spense di nuovo le speranze.

    Il ghetto - Roesler - Franz

    Il ghetto – Roesler – Franz

    Pio IX inasprito da quanto era accaduto, considerando la comunità ebraica in parte responsabile dell’esperienza della Repubblica, emanò leggi repressive nei confronti della comunità che riguardarono anche la libertà con cui gli ebrei potevano muoversi all’interno della città, sebbene le mura del ghetto non esistessero più.
    Si dovrà attendere l’unità d’Italia e la proclamazione di Roma capitale per avere un’equiparazione reale tra gli ebrei e gli altri romani.
    Ma anche questa sarà una parentesi che dal 1871 durerà in buona sostanza fino al 1938, quando Mussolini sceglierà di seguire Hitler anche sulla scelta discriminatoria nei confronti degli ebrei.
    L’episodio certamente più grave della storia della comunità ebraica a Roma sarà quello che si compirà il 16 ottobre del 1943 durante l’occupazione nazista della città.

    Casa Medievale in Via Rua - Roesler - Franz

    Casa Medievale in Via Rua – Roesler – Franz

    I tedeschi al comando di Kappler in poche ore alle prime luci del mattino rastrellarono e deportarono ad Aschwitz 1259 ebrei di tutte le età. Di questi ritornarono a Roma in 16 di cui 15 uomini ed una sola donna Settimia Spizzichino, che da subito scelse di testimoniare l’orrore che aveva vissuto.
    La passeggiata che proponiamo mira a far conoscere la storia antica e moderna di uno dei luoghi più suggestivi della città, fatto di tradizioni, religione, antico e moderno che si incontrano e dove s’intrecciano tragedie, commedie, vita comune. Storie di persone oltre che di luoghi.