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  1. Il fascino dell’antico e il linguaggio dei marmi nel Medioevo

    Il pavimento cosmatesco è una particolare tipologia di decorazione pavimentale emersa in Italia tra il XII e il XIII secolo grazie all’attività di

    Santa Maria degli Angeli -Roma.

    alcuni marmorari romani che operarono in varie botteghe e appartenenti alla famiglia dei Cosmati.
    Cosmati è in realtà un termine generico dovuta al fatto che i marmorari romani indicavano se stessi come Cosma o Cosmatus firmando le loro opere.
    Successivamente si sono potuti identificare due artisti diversi che appartenevano a due famiglie: Cosma di Jacopo di Lorenzo, attivo almeno dal 1210 al 1231, e Cosma di Pietro Mellini, attivo a partire almeno dal 1264.
    Cosma di Jacopo di Lorenzo è uno dei marmorai più noti della famiglia di Tebaldo Marmorario che è il capostipite di questa famiglia, attivo tra il 1100 e il 1150, e che raccolse le più grandi committenze da parte del papato. E’ noto che il figlio di Tebaldo si chiamava Lorenzo, a cui seguì appunto Jacopo e quindi Cosma. Anche i figli di Cosma proseguirono l’attività della famiglia.

    Santa Maria in Cosmedin – Pavimento della Navata Centrale.

    Questa famiglia diede avvio a una vera e propria moda nella decorazione pavimentale che incontrò il gusto e soddisfece il desiderio dei papi che quindi autorizzarono il prelievo dei marmi e delle altre pietre necessarie alla realizzazione di questa particolare decorazione musiva dai vari edifici romani.
    Il desiderio di riutilizzare i marmi antichi non si limitò però agli anni del XII e XIII secolo, ma fu una pratica che si estese anche nei secoli successivi, uno degli esempi più eclatanti è forse quello della cappella Mignanelli dentro Santa Maria della Pace decorata interamente con i marmi provenienti dal tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, nella seconda metà del 1600.
    Accanto alla bottega dei Cosmati perciò sorsero anche botteghe di marmorari imitatori di questo stile che nel tempo venne utilizzato per realizzare non più solo pavimenti ma anche altari, leggii, pulpiti, colonne tortili, fonti battesimali, ecc…
    Bisogna poi ricordare almeno l’esperienza del Magister Paulus a sua volta discepolo di un certo Magister Christianus attivo già nella metà del X secolo.

    Basilica di San Clemente – Roma.

    Il Magister Paulus diede vita a una sua bottega insieme ai suoi figli, attiva immediatamente prima di quella dei Cosmati. Al Magister Paulus sono attribuiti i pavimenti della chiesa di San Clemente, quelli dei Santi Quattro Coronati, della cattedra di San Lorenzo in Lucina e della basilica di San Pietro in Vaticano.
    Per la similitudine nello stile si pensa che siano stati realizzati dal Magister Paulus e dalla sua bottega anche i pavimenti delle chiese di Santa Maria in Cosmedin, di San Benedetto in Piscinula e di altre.
    I pavimenti cosmateschi sono dei coloratissimi tappeti marmorei la cui ricchezza, varietà e policromia contrasta con la semplicità dell’architettura delle basiliche e delle chiese romaniche in cui essi sono utilizzati.
    Per la realizzazione di questi pavimenti furono impiegate tessere o piccoli tasselli di marmo, granito o ceramica, cavati da antichi edifici romani,

    Santa Maria Maggiore – Civita Castellana.

    disposti a creare motivi geometrici di connessione tra inserti più grandi, rotondi, detti rotae spesso di porfido rosso.
    Il riuso di elementi marmorei, graniti, porfidi o ceramici permetteva di coniugare bellezza e risparmio: comprare nuovo materiale infatti era certamente più dispendioso che non utilizzare quello già così tanto abbondante presente in città. D’altra parte alcune cave di marmo come quelle di serpentino e di porfido rosso si erano già esaurite in epoca romana e sarebbe stato dunque impossibile per papi e cardinali approvvigionarsene se non sottraendole a edifici romani.
    Una delle caratteristiche della decorazione pavimentale “cosmatesca” è la sua simmetria, anche se più correttamente si dovrebbe parlare di simmetrie al plurale, poiché con accurate analisi anche di tipo matematico si è messo in evidenza il fatto che le simmetrie utilizzate dai diversi Cosmati sono più di una.
    Quando si osserva un pavimento cosmatesco si può distinguere sempre un elemento lineare che corre lungo la navata, attraversa il coro e giunge

    San Benedetto in Piscinula – Trastevere.

    all’altare. Questo perché il pavimento non aveva solo un valore decorativo, ma veniva utilizzato anche per segnare dei percorsi all’interno della chiesa e della basilica, percorsi che potevano essere seguiti in processione o da singoli.
    Il pavimento così veniva ad assumere due diversi significati e definiva lo spazio della navata a due livelli: il motivo lineare infatti definisce un vero e proprio corridoio che assume anche il valore simbolico di passaggio, esemplificativo del pellegrinaggio sulla Terra che il cristiano compie prima della sua ascensione nel regno dei cieli. Il motivo lineare centrale ha quindi valore di percorso salvifico, valore che nelle architetture dei secoli successivi sarà assunto da altri elementi: ad esempio la decorazione a spirale di angeli in epoca barocca.
    In genere la navata centrale è occupata da un elemento lineare che può essere composto da uno o dalla combinazione di due motivi principali: la guilloche, in cui una serie di tondi, il cui centro è una rota, si connettono attraverso fasce intrecciate, e il quinconce, una composizione di quattro tondi disposti intorno a un quinto collegati tra loro da bande intrecciate.

    Duomo – Terracina.

    Le fasce sinuose che collegano tra loro i tondi appaiono a chi entri e cammini sul pavimento come continue e intrecciate, piuttosto che semplicemente giustapposte.
    Tutto ciò che è ai lati della navata centrale è semplice riempimento dello spazio e viene realizzato per mezzo di una disposizione regolare di tessere colorate di materiali vari.
    Il pavimento cosmatesco diventa un elemento architettonico fondamentale nell’organizzazione e nella gerarchizzazione dello spazio della basilica paleocristiana dal momento in cui la basilica romana, che aveva due absidi sui lati maggiori e due ingressi sui lati minori, viene presa come modello architettonico per il tempio cristiano, ma viene semplificata eliminando una delle due absidi e ponendo l’ingresso sul lato opposto dell’abside rimasto. Era a questo punto necessario introdurre un asse di simmetria che restituisse equilibrio all’edificio e il motivo curvilineo del pavimento cosmatesco della navata centrale ha proprio il ruolo di introdurre di nuovo la simmetria speculare che era andata persa nella semplificazione della pianta basilicale. La simmetria speculare è poi rafforzata dal fatto che ai lati dell’elemento decorativo del pavimento della navata sono disposti specularmente dei rettangoli.

    San Crisogono – Trastevere.

    Spesso non vengono però realizzate simmetrie speculari semplici, ma queste possono essere più o meno complesse e diverse per l’elemento che decora la navata centrale e quello che fa da riempimento.
    Un altro aspetto che caratterizza i pavimenti cosmateschi è la varietà di forme che si possono riconoscere al suo interno. Le così dette rotae, ovvero i tondi che sono al centro delle guilloche e delle quinconce sono fette di colonne. Poi si possono distinguere cerchi, triangoli, quadrati, rettangoli, rombi, esagoni, ottagoni e la così detta vesica piscis, cioè un ovale appuntito che viene a formarsi all’intersezione di due circonferenze.
    Questa organizzazione geometrica dei Cosmati nasceva spesso da motivi di ordine pratico.
    La tecnica utilizzata era quella di partire dal marmo bianco all’interno del quale venivano scavati gli alloggiamenti della misura e della forma esatta per accogliere poi i frammenti colorati, queste tracce erano poi riempite con un fondo cementizio nel quale venivano incastrati i frammenti in maniera tale che non sporgessero dal marmo stesso. Si partiva per questo

    Cappella di San Luigi – Cattedrale di Monreale

    “gioco ad incastro” dai tasselli più grandi, quindi venivano riempiti gli spazi vuoti, ricavando in essi gli alloggiamenti per le restanti tessere, andando sempre in ordine di grandezza dal più grande al più piccolo.
    Osservando un pavimento cosmatesco si può così notare che la simmetria riguarda solo, o principalmente la forma e la dimensione, ma molto raramente il colore, e questo corrisponde a una particolare caratteristica dell’effetto simmetria che appunto rende trascurabile il colore, tanto che essa potrebbe essere colta e il pavimento apprezzato per la sua bellezza anche se fosse realizzato tutto con tessere bianche e nere.
    I Cosmati quindi rispondevano a una esigenza ottica precisa in cui l’importante è riempire lo spazio con una certa forma piuttosto che con un dato colore e questo introduce nei pavimenti cosmateschi un altro livello di simmetria che è detta simmetria di similitudine o simmetria frattale. Questa esigenza ottica fa si che gli spazi restati vuoti vengano riempiti via via con forme simili di scala più piccola. Il risultato può essere un motivo che localmente è simile a se stesso.
    Questa esigenza ottica spiega anche perché una delle figure più frequentemente utilizzate è il triangolo; per esempio lo si trova nelle aree comprese tra i margini circolari di guilloche e quinconce e i bordi rettilinei che li circondano. Questi spazi curvi hanno una forma che ricorda molto quella di un triangolo e spesso accolgono un triangolo grande, mentre lo spazio intorno viene riempito con triangoli più piccoli fino a quando tutto lo spazio disponibile è completato.

    Roma, 5 gennaio 2020

  2. Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, custodia della cristianità

    Sulla sinistra di Porta Tiburtina, il piccolo Parco Tiburtino e Villa Mercede sono i modesti avanzi della distesa di vigne e di ville preesistenti.

    San Lorenzo Fuori Le Mura – Oggi.

    Poco lontano dalle mura alle quali, in epoca medievale, essa era collegata da un portico, sorge la basilica di San Lorenzo fuori le Mura, uno dei trenta edifici sacri intitolati a Roma al diacono Lorenzo. Di origine spagnola, fu martirizzato il 10 agosto dell’anno 258. Il martirio avvenne, secondo tradizione, sopra una graticola ardente, custodita nella basilica di San Lorenzo in Lucina, nel luogo dove oggi sorge la chiesa di San Lorenzo in Panisperna. Il corpo venne poi sepolto nell’antico ager Veranus, che si estendeva lungo la via Tiburtina.
    L’imperatore Valeriano era a conoscenza del fatto che Lorenzo, tra i sette diaconi di Roma, fosse il depositario dei beni della Chiesa di Roma, privata di papa Sisto II e dei vescovi già messi a morte. Alla richiesta del prefetto dell’imperatore di consegnargli tale “tesoro”, Lorenzo fu costretto a mostrarglielo. Allora Lorenzo si presentò al suo cospetto con una folla di

    San Lorenzo Fuori Le Mura – 1852 circa. Si ringrazia RomaSparita.

    poveri. «Ecco! Questo è il tesoro della Chiesa» disse. Un gesto, quello, che gli sarebbe costato la prigionia e poi il martirio.
    Il luogo di sepoltura nell’Agro Vaticano, nel cimitero della matrona Ciriaca, divenne un luogo di culto. E “di Ciriaca” sono chiamate le catacombe che si sviluppano sotto la chiesa e sotto il cimitero monumentale del Verano.
    Nel centro del piazzale antistante la basilica si alza una colonna collocata nel 1865, in sostituzione di un’altra precedente più piccola come monumento commemorativo della conclusione dei grandi lavori voluti da Pio IX, sepolto proprio in San Lorenzo fuori le Mura, per il generale restauro della basilica e per la sistemazione del piazzale stesso, in coincidenza della costruzione del cimitero. Essa sorregge una statua bronzea del diacono Lorenzo, opera di Stefano Galletti.
    In un’aiuola laterale è stata invece sistemata la statua bronzea dedicata al papa Pio XII, realizzata grazie a una sottoscrizione, in ricordo della visita al quartiere ancora fumigante per il bombardamento dell’ultima guerra.

    San Lorenzo Fuori Le Mura – Dopo il bombardamento del 13 luglio 1943.

    Il 19 luglio 1943 un pesante bombardamento americano sulla zona degli impianti ferroviari di Roma pose fine all’illusione della intoccabilità dell’Urbe, provocando migliaia di vittime e ingenti danni. Unico monumento della città ridotto in cenere fu proprio San Lorenzo. Anche i successivi bombardamenti che si ebbero sulla città fino al giugno del 1944, risparmiarono il patrimonio monumentale di Roma.
    La basilica appartiene al novero delle sette chiese – basiliche giubilari, meta dei pellegrinaggi penitenziali degli anni santi e di tutti coloro che vogliono visitare una delle più importanti memorie cristiane.
    Allo stato attuale delle scoperte archeologiche, sembra di poter affermare che l’imperatore Costantino creò un sacello sulla tomba del martire che si trovava sotto la collina del Pincetto. La collina era allora assai più avanzata e solamente in seguito venne tagliata. Contemporaneamente l’imperatore costruì una grande basilica di quasi 100 metri di lunghezza e 36 di larghezza, la stessa cosa fece a Sant’Agnese fuori le Mura, dove rimangono in parte i resti perimetrali della basilica.

    San Lorenzo Fuori Le Mura – Dopo il bombardamento del 13 luglio 1943.

    Mentre tale basilica detta “maior” – che si trovava sul posto dell’attuale cimitero – è andata distrutta con il passare del tempo, secondo una sorte che è toccata a un insieme di oratori, di mausolei, di ospizi e di altri edifici che avevano finito per costituire una sorta di sacro sobborgo, sopra il sacello posto sulla tomba di San Lorenzo si sviluppò una chiesa che trovò pieno assetto con papa Pelagio II, 579-590.
    Quella chiesa corrisponde al presbiterio dell’attuale basilica ed era orientata nel senso opposto. Successivamente Onorio III, 1216-1227, ne fece demolire l’abside e raccordare l’edificio a un’altra costruzione più grande costituita dalle tre navate della basilica di oggi.
    Il complesso di San Lorenzo si avvale di un grandissimo fascino, a cominciare dall’esterno, la cui facciata con tre grandi finestre a centina è stata completamente ricostruita dopo il bombardamento e ha naturalmente perduto le decorazioni pittoriche ottocentesche. Il portico-nartece, anch’esso ricostruito, appartiene ai lavori di Onorio III. È retto da sei colonne che reggono un architrave sul quale corre un raffinato fregio

    San Lorenzo Fuori Le Mura – Interno.

    mosaicale, attribuibile alla scuola marmoraria del Vassalletto e simile a quello del chiostro lateranense. Nell’interno del portico sono collocati alcuni pregevoli sarcofaghi antichi, la stele commemorativa della visita di Pio XII alle rovine della basilica, il giorno stesso della sua distruzione, e la tomba di Alcide De Gasperi, il presidente della ricostruzione italiana dopo la guerra. L’opera di singolare efficacia è di Giacomo Manzù. Sempre nel portico si trovano alcuni affreschi della fine del secolo XIII.
    L’interno della chiesa mostra subito il divario di forma architettonica fra le sue due parti. Le tre navate sono divise da colonne ioniche, sorreggenti un architrave, sono di spoglio, diverse fra loro, forse in parte provengono dalla precedente basilica costantiniana. Il pavimento cosmatesco di epoca onoriana, datato agli inizi del XIII secolo, è stato accuratamente ricomposto, salvo qualche parte perduta al centro. Il tetto è stato lasciato a capriate, sopprimendo i cassettoni quattrocenteschi. Sono andati perduti per la

    San Lorenzo Fuori Le Mura – Interno.

    massima parte i dipinti di Cesare Fracassini che erano stati eseguiti in occasione del restauro di metà ottocento sulle pareti della navata principale. Restano quelli dell’arcone trionfale e un grande pannello è stato collocato sopra la porta.
    Nella navata centrale sono due magnifici amboni del trecento, fine opera dei marmorari. Accanto a quello di destra, si trova un candelabro pasquale tortile e decorato a mosaico.
    Al termine della navata, dove un gradino bianco circolare segna l’andamento dell’abside della chiesa di papa Pelagio, un sistema di scale porta alla “confessione”, alla cripta e al presbiterio. La cripta corrisponde al livello originario della chiesa di papa Pelagio che era munita anche di un portico interno. All’epoca della sua trasformazione essa era stata colmata di materiale di riempimento che Virginio Vespignani, autore del restauro ottocentesco – il quale, fra l’altro, isolò la chiesa dalla collina che la avvolgeva su due lati, danneggiandola con l’umidità – eliminò, provvedendo a sorreggere il presbiterio con pilastri e colonnine. La zona

    San Lorenzo Fuori Le Mura – Mosaico dell’arcone.

    della confessione corrisponde al sepolcro di Lorenzo e di santo Stefano protomartire.
    Sul retro, l’intero portico antico di ingresso è stato trasformato nella Tomba di Pio IX. Questa per volontà del papa che aveva presieduto ai restauri della chiesa avrebbe dovuto essere molto semplice. Assunse invece il ricchissimo aspetto attuale per un moto spontaneo di riparazione del mondo cattolico contro le offese recate alla memoria del papa. La sistemazione è opera dell’architetto Raffaele Cattaneo che concepì una decorazione neo-bizantina. I pannelli musivi sono del tedesco Ludovico Seitz.
    Il presbiterio è artisticamente il punto di maggiore interesse della chiesa. Lo si raggiunge con due scalette ai lati della confessione. Quel che più colpisce sono le grandi colonne che emergono dal livello inferiore e che con bellissimi capitelli ionici sostengono una trabeazione costituita da un complesso di marmi decorati ad intaglio provenienti da diversi monumenti. Al di sopra si snodano gli archetti dell’antico matroneo, con belle colonnine, fra loro diverse. Ai lati del presbiterio, rettangolare, ci sono lunghi sedili marmorei e, in fondo, una sedia episcopale con un dossale in cui sono inseriti dischi di porfido e di serpentino; ai lati essa ha due meravigliosi plutei con riquadri anch’essi di serpentino e porfido e con colonnine tortili mosaicate. Si ritiene che tutto questo materiale, così sistemato nel 1254, provenga da una più antica schola cantorum, realizzata dai marmorari romani. A questi ultimi si deve anche il pavimento cosmatesco e il ciborio, composto di quattro colonnine di porfido che reggono una trabeazione sorreggente un secondo ordine ortogonale di colonnine, sovrastato a sua volta da una cuspide pure a colonnine. Si tratta del tipo di ciborio a gabbia che si ritrova in varie chiese romane e che qui è stato ricostruito dal restauro ottocentesco al posto di una cupoletta cinquecentesca. L’opera è firmata dai fratelli Pietro, Angelo e Sasso, marmorari figli di Paolo e datata

    Sarcofago antico utilizzato quale tomba del cardinale Fieschi.

    al 1148. Si tratta quindi di un lavoro precedente alla sistemazione di papa Onorio III e pertanto qui trasportato da precedente e diversa collocazione. Sotto il ciborio è custodito un altare ricomposto con antichi frammenti, fra cui una grande lastra di porfido.
    Dal presbiterio si gode altresì il mirabile mosaico della fronte interna dell’arcone; essa, un tempo, introduceva al fulgore dei mosaici del catino dell’abside distrutta. Questo mosaico raffigura “Cristo tra Santi” e con papa Pelagio II che offre il modello della sua chiesa; è opera di transizione tra lo stile romano e il bizantino e vi appare nitida la mano di tre artisti diversi, di differente formazione culturale.
    Il bombardamento ha spogliato la chiesa di molte sovrastrutture ornamentali, specie barocche. Restano alcuni sepolcri, fra i quali, importante, quello del cardinale Fieschi, morto nel 1256: riutilizza un bel sarcofago antico, riquadrato come un ciborio, che comprendeva anche un affresco oggi andato distrutto.

    San Lorenzo Fuori Le Mura – Particolare del pavimento.

    Alla fine della navata sinistra, un vano di due metri per due è decorato con affreschi dell’VIII secolo. Dal fondo della stessa navata, una scala, affiancata da due monumenti funebri di Pietro da Cortona con busti di Francesco Duquesnoy, porta alla sotterranea cappella di Santa Ciriaca che dà accesso alle catacombe. L’altare, sul quale avrebbe celebrato san Pietro, è arricchito da ex voto.
    In un piazzaletto a destra della chiesa si leva il campanile romanico, che risale probabilmente alla metà del secolo XII. Ha cinque ordini di archetti divisi da pilastri e un aspetto severo.

    Roma, 4 gennaio 2020

  3. Tempo di Natale: la Basilica di Santa Maria all’Ara Coeli e il Bambinello miracoloso

    «Santa Maria in Ara Coeli al Campidoglio, Chiesa regionale SENATUS

    Basilica di Santa Maria in Ara Coeli – Canaletto.

    POPULUSQUE ROMANUS»: la definizione dell’Annuario della Diocesi di Roma è tanto sintetica quanto densa di significati: se la Basilica di San Pietro in Vaticano e la Cattedrale di San Giovanni in Laterano legano l’Urbe all’apostolo Pietro e ai suoi successori, l’Ara Coeli è la chiesa del popolo romano e delle sue istituzioni civiche. E c’è più di una ragione a rendere questa chiesa unica: secondo un’antica tradizione, nel luogo dove essa sorge, l’imperatore Ottaviano Augusto avrebbe avuto la visione di una giovane donna con un bambino in braccio che gli preannunciava: «Haec est Ara Filii Dei», «questo è l’Altare del Figlio di Dio». Dopo quella visione, l’imperatore avrebbe deciso di innalzare un piccolo altare a quel Dio bambino che stava per arrivare.
    E proprio grazie alla presenza di un’effige di Gesù Bambino, la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli è carissima al cuore dei romani e dei fedeli di ogni parte del mondo: dalla fine del XIV secolo, infatti, la chiesa ospita una statuetta lignea che raffigura il Bambino Gesù – per i romani «er Pupo» o «er Bambinello» – dispensatore di miracoli e grande beniamino dei bambini, i quali, da tempi immemorabili, si recano dalla notte di Natale fino all’Epifania, al suo cospetto, a leggere pensierini, esprimere desideri e recitare preghiere.

    Il Bambinello – Basilica di Santa Maria in Ara Coeli

    La Chiesa dell’Ara Coeli, come si è soliti chiamarla familiarmente, è dunque una delle più venerabili fabbriche della città.  Già nel 574 la chiesa, denominata allora Santa Maria in Capitolio, era considerata molto antica. Secondo alcune fonti a volerla edificare fu sant’Elena, la madre di Costantino. Secondo altre, papa Gregorio Magno.
    Comunque, in quel VI secolo, annesso alla chiesa c’era anche un convento di monaci greci. Dopo i greci, erano arrivati i monaci benedettini a governare chiesa e convento, i quali, a loro volta, nel XIII secolo, lasciarono il posto ai francescani, l’ordine dei tempi nuovi.
    E mentre le vestigia di Roma antica erano ormai andate in rovina, qualcosa dell’antica gloria del Campidoglio era ancora viva entro le mura della chiesa e del convento: qui gli anziani della città si riunivano per discutere dei loro affari, alla maniera in cui il Senato era solito riunirsi ogni anno nel tempio di Giove, situato nei secoli della Roma antica, sull’altra sommità del colle capitolino.

    Scalinata della Basilica di Santa Maria in Ara Coeli. Si ringrazia “RomaSparita”.

    In un’epoca non precisata, la chiesa, ad un certo punto, cambiò nome: da Santa Maria in Capitolio in Santa Maria in Ara Coeli. Qualche notizia sul motivo del cambiamento si rintraccia nei Mirabilia Urbis Romae, le antiche guide della città famosissime dall’alto medioevo fino al tardo rinascimento.
    Vi si afferma che la chiesa era stata costruita sul sito dove sorgeva il tempio di Giunone Moneta, dove si trovava la zecca romana, donde prese origine la parola moneta ai tempi di Augusto imperatore, che aveva proprio nei pressi del tempio di Giunone uno dei suoi palazzi. Ed era stato proprio in quel palazzo che l’imperatore, «sbigottito che il Senato volesse tributargli gli onori riservati agli dei», aveva interpellato la Sibilla Tiburtina. E la Sibilla così si era espressa: «vi sono indizi che presto dal sole scenderà il Re dei secoli venturi e la vera giustizia sarà fatta». Mentre la Sibilla parlava, l’imperatore vide aprirsi i cieli e scorse una giovane donna che teneva in braccio un bambino ammantato di luce; due voci gridarono dal cielo: «Questa è la Vergine che porterà nel suo grembo il Salvatore del mondo. Questo è l’altare del Figlio di Dio». Allora Augusto eresse un altare nel luogo stesso della visione – l’Ara Filii Dei o Ara Coeli – .
    Parecchi cronisti del Medioevo menzionano questo altare. Un’ulteriore conferma della tradizione si volle vedere in un’antica colonna sulla quale si leggevano le parole a cubicolo Augustorum, ovvero «dalla stanza degli imperatori»: la colonna è la terza nella navata sinistra della chiesa.

    La così detta Colonna di Augusto. Si ringrazia Alvaro de Alvariis.

    Che la tradizione si riferisca al Campidoglio e a Ottaviano Augusto può essere anche dovuto al fatto che nel secolo XI esisteva nella zona dell’Ara Coeli un edificio di mole considerevole noto come camera o palatium Octaviani, nel quale, tra l’altro, fu ospitato un emissario dell’imperatore Enrico III, Rex romanorum dal 1039 al 1056, e dal 1046 imperatore del Sacro Romano Impero.
    Nel transetto sinistro dell’Ara Coeli, entro un tempietto con otto colonne, un’urna di porfido che si dice contenesse le spoglie mortali di sant’Elena, madre di Costantino, poggia su un altare incassato nel pavimento ritenuto proprio l’Ara Coeli fatto costruire da Augusto. Nell’abside un affresco ritrae Augusto e la Sibilla Tiburtina tra i santi e gli angeli, cosa davvero inusitata per un imperatore pagano. In verità questa profezia fu talmente cara ai fedeli romani che le Sibille compaiono tra gli elementi decorativi delle chiese cristiane. Agli albori del XII secolo la chiesa di Santa Maria in Ara Coeli assume, definitivamente, il ruolo di chiesa del popolo romano: è il 1143 quando a Roma ebbe luogo la cosiddetta renovatio Senatus, ossia il rinnovamento dell’antica istituzione in opposizione al potere del sovrano Pontefice, allora era papa Innocenzo II. Un anno dopo fu istituito il Comune di Roma con a capo il potente Giordano Pierleoni, il quale scelse il Campidoglio e quindi l’Ara Coeli come sede dell’istituzione cittadina. E proprio nella chiesa ebbero luogo, per anni, le assemblee dei rappresentanti del popolo. Nel 1250, papa Innocenzo IV decise di affidare chiesa e

    Basilica di Santa Maria in Ara Coeli – Interno.

    monastero ai francescani, i quali ristrutturarono gli edifici che continuarono ad essere oltre che luogo di culto, anche il centro della vita politica del libero comune. I francescani ne cambiarono anche l’orientamento: prima verso i Fori, ora verso la basilica di San Pietro in Vaticano. Una strana commistione tra religione e politica, che però, nonostante tutto, manteneva distinte l’una dall’altra. Nel 1348 si procedette alla costruzione della bellissima scalinata con 122 scalini che ammiriamo ancora oggi, commissionata dal comune come voto alla Madonna affinché ponesse fine alla peste che imperversava in tutta Europa. Ad inaugurare la scalinata fu Cola di Rienzo, tribuno del popolo e grande studioso di antichità romane. Benché non fosse mai stato anticlericale, ma anzi avesse sempre accuratamente coltivato il sostegno papale alle proprie imprese, la figura di Cola di Rienzo fu assai cara all’immaginario risorgimentale e massone, che ne fece l’eroe antesignano di un risorgimento di Roma rimasto incompiuto. Ma tornando alla nostra chiesa, va ricordato che proprio entro le sue mura Francesco Petrarca fu laureato poeta nel 1341. E che, nel 1571, vi fu celebrato il trionfo di Marcantonio Colonna, comandante della Lega cattolica contro i Turchi a

    Una Processione a Santa Maria in Ara Coeli – Oswald Achenbach.

    seguito della sua vittoria nella battaglia di Lepanto: lo straordinario soffitto dell’Ara Coeli ne ricorda la celebre vittoria. Sempre qui, dal XIV al XIX secolo, si celebrava il Te Deum di ringraziamento del popolo romano alla presenza del Papa. Nonostante il carico di storia e di tradizioni che questa chiesa vanta, il vero motivo per cui è famosa in tutto il mondo è la presenza del Bambinello, una scultura di Gesù Bambino intagliata nel XIV secolo da un frate francescano nel legno d’ulivo proveniente dal Getsemani. Tranne che nel periodo delle feste natalizie, durante le quali viene trasferita nel presepe allestito in una cappella della navata sinistra, la sacra effige viene conservata in una custodia di vetro posta sull’altare di una piccola cappella accanto alla sacrestia. Purtroppo, la statuetta fu rubata nel febbraio del 1994 e mai più ritrovata. Al suo posto fu posta una copia che ha continuato a elargire tante e tante grazie: nella cappellina due grandi contenitori di vetro pieni zeppi di lettere spedite da bambini e da fedeli di tutto il mondo contenenti le richieste di miracoli. Spesso sono indirizzate semplicemente «Al Bambino, Roma». I foglietti, poi, vengono bruciati senza che siano stati aperti dai padri francescani, i quali non si intromettono in quello stupendo dialogo tra Gesù e i suoi piccoli. Molte volte, prima di quel 1994, si è tentato

    Basilica di Santa Maria in Ara Coeli – Giovan Battista Piranesi.

    di rubare il Bambinello: nel febbraio del 1794, una donna se lo portò a casa e lo sostituì con una copia perfetta. Ma a mezzanotte dello stesso giorno, le campane dell’Ara Coeli si misero a suonare e alle porte del convento i francescani ritrovarono il Santo Bambino che fu subito rimesso al suo posto, mentre la copia andava in mille pezzi. E poco prima di quel febbraio del 1994, giorno del furto definitivo, qualcuno si portò via gli ori e i gioielli che ricoprivano la statuetta. Dopo alcuni mesi, i fedeli di ogni parte del mondo ne donarono altrettanti. Molti sono i malati che, ancora oggi, chiedono ai padri francescani di poter vedere e toccare il Bambinello: e allora ecco che la statuetta lascia la sua cappellina per andare in visita a chi ne ha bisogno. Oggi i trasferimenti avvengono il più delle volte in taxi. Ma per secoli si è utilizzata una bellissima carrozza e successivamente un’automobile cardinalizia. A tal proposito a Roma rimane famoso l’episodio di quando alcuni soldati fermarono un’automobile cardinalizia che tentava di attraversare Piazza Venezia mentre Benito Mussolini teneva un discorso. Appena si accorsero che trasportava il Santo Bambino al capezzale di un malato, la lasciarono proseguire immediatamente. Si spera sempre che la statuetta rubata possa tornare prima o poi al suo posto. Anche se pare che il Signore non sembra curarsi troppo del dettaglio, continuando a elargire con larghezza la sua grazia attraverso la semplice copia.

    Roma, 13 dicembre 2019

  4. La piccola chiesa di Santa Passera alla Magliana

    L’area, molto popolata, situata tra la riva destra del Tevere e via della Magliana è quotidianamente intasata di traffico. Nulla a che vedere con la desolazione di qualche decennio fa. Qui, nel 1966, Pasolini, insieme

    La piccola chiesa di Santa Passera alla Magliana.

    con Totò e Ninetto Davoli, girò quel miracolo di poesia che fu Uccellacci e Uccellini. E sempre qui, da secoli, resiste un gioiello sconosciuto, una delle tante rarità che Roma – quasi sempre quando e dove meno te lo aspetti – ti regala spunta la chiesetta di Santa Passera, che, piccola e discreta, si affaccia su via della Magliana.
    È meglio subito togliersi il pensiero: il nome. Ai soliti buontemponi sembrerà uno scherzo. O un doppio senso. Anche perché una santa di nome Passera non è inclusa in alcun calendario liturgico e nemmeno Passio in cui vengono narrate le vicende dei primi martiri cristiani. Insomma, le fonti tacciono. E a ragione, perché una santa con questo nome non è mai esistita.
    Si tratterebbe allora della corruzione del nome di un certo Abbas Cyrus, vale a dire Ciro d’Alessandria, santo medico veneratissimo a Napoli e in tutto Meridione.
    Sul tracciato dell’antica via Campana, che in età arcaica correva più o meno su quello dell’odierna via della Magliana, intorno al III secolo dopo Cristo, esisteva un sepolcro, con molta probabilità appartenente a una famiglia

    Chiesa di Santa Passera alla Magliana – Interno.

    agiata, in cui, verso il IV – V secolo, si innestò un oratorio cristiano dedicato alle martiri Prassede e Pudenziana. In questo luogo di culto, secondo alcune fonti durante il V secolo, secondo altre, più verosimilmente, in epoca altomedievale, furono traslate le reliquie dei martiri Ciro e Giovanni di Alessandria, portate a Roma dall’Egitto, per essere preservate dal pericolo imminente di un’invasione da parte degli Arabi.
    Come mai, durante la fase di traslazione, fu scelto un luogo di culto così piccolo e isolato per preservare i sacri resti di Ciro e Giovanni? Alcuni studiosi hanno voluto trovare una correlazione tra l’antica ubicazione delle reliquie martiriali in Egitto e la chiesetta di Santa Passera. In Egitto i resti dei due santi erano stati trasferiti in un santuario che si trovava nella città di Canop, corrispondente più o meno all’odierna città di Abukir, la quale sorgeva sul ramo occidentale del Nilo a 25 km circa da Alessandria. La tradizione narra che questo santuario si trovava in prossimità del fiume proprio come accade alla chiesetta di Santa Passera, la quale, non a caso, è ubicata a poca distanza dal Tevere. Si è quindi ipotizzato che essa sia

    Chiesa di Santa Passera alla Magliana – Affreschi dell’abside.

    probabilmente stata individuata come sede delle reliquie proprio dai monaci che effettuarono la traslazione delle reliquie, al fine di ricordare l’antico santuario in terra d’Egitto che sorgeva nei pressi del Nilo. Curiosa, tra l’altro, anche l’origine del toponimo arabo Abukir nel quale è evidente una reminiscenza del nome Abbas Cyrus.
    Ma torniamo alla nostra Santa Passera: il piccolo luogo di culto, nell’VIII secolo, venne quindi ampliato e restaurato e dedicato alla memoria dei due martiri. Il nome di San Ciro sopravvisse nel tempo in relazione alla chiesa ma avrebbe conosciuto numerose volgarizzazioni che lo avrebbero mutato dal greco Abbas Cyrus, padre Ciro, in Abbaciro, Appaciro, Appàcero, Pàcero, Pàcera e infine Passera, da cui deriverebbe il nome odierno dell’edificio cultuale.
    Le reliquie martiriali dei due santi, in epoca tardomedievale, sarebbero state nuovamente traslate prima nel rione Trastevere, dove esisteva una chiesa dedicata a Sant’Abbaciro, e successivamente a Napoli, città da cui, a partire dal XVII secolo, si irradiò in tutto il Meridione il culto di San Ciro, veneratissimo santo patrono di Portici.

    Santa Passera – San Ciro d’Alessandria.

    La chiesa di Santa Passera, seppur posta in ubicazione suburbana, mantenne un’importanza rilevante come si può evincere dalle pitture che decorano l’unica aula absidata da cui è composto l’edificio. Tra queste ricordiamo l’affresco raffigurante i padri della chiesa orientale, realizzate con molta probabilità dagli stessi pittori bizantini, rifugiatisi a Roma durante il periodo dell’iconoclastia, che decorarono la chiesa di Santa Maria Antiqua nell’ VIII secolo.
    Anche il catino absidale presenta degli affreschi di pregevole fattura, purtroppo giunti fino ai nostri giorni in condizioni non totalmente perfette. Le pitture, divise in due livelli distinti, uno superiore e uno inferiore, risalgono a due diverse epoche storiche: quelli della parte superiore, probabilmente databili a un periodo medievale, rappresentano il Cristo trionfante tra le palme del martirio affiancato dai santi Pietro, Paolo, Giovanni Battista, a sinistra, e Giovanni Evangelista, a destra con una coppa in mano.
    Nella parte inferiore invece, le raffigurazioni sono databili al XIV secolo: la figura centrale è una rappresentazione della Vergine Oδηγήτρια – Odighítria, colei che indica la strada, tema ricorrente nell’iconografia bizantina. Alla sua destra l’Arcangelo Michele, protettore della Cristianità, e sull’estrema destra, un’altra bellissima raffigurazione di Cristo

    Santa Passera – Padri della Chiesa Orientale.

    Παντοκράτωρ – Pantocrator, in trono tra i santi titolari dell’edificio cultuale, Ciro, con la barba, e Giovanni, rappresentati come medici. Sull’estrema sinistra si notano altre due figure di santi non presenti nell’iconografia di ambiente orientale. Nella figura con il saio è riconoscibile San Francesco d’Assisi mentre alla sua sinistra è riconoscibile San Giacomo.
    Curiosa è poi la presenza di altre due raffigurazioni, di dimensioni più piccole, poste ai piedi dei due santi, che corrispondono probabilmente ai committenti dell’opera. È stato ipotizzato che nella figura femminile ai piedi del poverello di Assisi si possa identificare Jacopa de Settesoli, vedova del nobiluomo Graziano Frangipane, che, nel 1213 ospitò proprio San Francesco all’interno della Torre della Moletta al Circo Massimo mentre nella figura maschile, il di lei figlio Giacomo, protetto appunto dall’omonimo santo. Probabilmente la chiesa di Santa Passera doveva un tempo essere connessa alle proprietà dei Frangipane e la nobildonna Jacopa volle farsi effigiare assieme al figlio sotto la protezione dei santi a cui erano fortemente devoti.

    Santa Passera – Cristo Pantocratore tra i santi Ciro e Giovanni.

    Ma la chiesa di Santa Passera possiede la particolarità di aver conservato anche i due ambienti precedenti e sotterranei rispetto all’aula cultuale cristiana. A un livello più basso si trova infatti l’antica camera sepolcrale trasformata in oratorio e sotto di essa un ambiente pagano preesistente che presenta addirittura tracce di pitture. In epoca Medievale, si ritiene intorno all’anno 1000, nel livello di mezzo venne aperto un ingresso sopra il quale ancora oggi campeggia una bellissima epigrafe che ricorda l’avvenuta traslazione nella chiesa di Santa Passera dei martiri Ciro e Giovanni dalla città di Alessandria d’Egitto.

    Si ringrazia “Allontanarsi dalla linea gialla” per il testo e per alcune delle fotografie.

    Roma, 13 ottobre 2019