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  1. Gli affreschi dell’era di Augusto a Palazzo Massimo

    C’è molto, moltissimo della Roma di Augusto nelle ricchissime collezioni e nei cento capolavori contenuti nel Museo romano di Palazzo Massimo.

    Augusto, imperatore

    Augusto, imperatore

    Anche volendo limitare la visita al solo periodo di Augusto, bisogna comunque fare delle scelte. E la scelta obbligata è quella degli affreschi dalla Villa di Livia e da Villa della Farnesina.
    Prima però sarà bene fare una sosta al piano terreno a conoscere da vicino alcuni dei nostri protagonisti. La statua di Augusto vestito da Pontefice Massimo è una delle più belle e più significative tra quelle che ritraggono l’instauratore del principato romano. La carica, ripetutamente offerta dal Senato ad Augusto, fu accettata, infatti, soltanto alla morte del precedente pontefice, Marco Lepido, benché quest’ultimo fosse caduto in disgrazia. Il gesto indica un cambiamento di natura del riconoscimento: da carica elettiva e temporanea a caratteristica perpetua del principe. Nella stessa sala troviamo anche alcuni busti della famiglia di Augusto. Due di questi, di cui uno di bella fattura, ritraggono la moglie di Augusto, Livia;

    Villa Farnesina - Affreschi

    Villa Farnesina – Affreschi

    negli altri incontriamo le fattezze di Ottavia, sorella del principe, del figlioccio Druso e del figlio di quest’ultimo, Germanico.
    L’ultimo piano è dedicato agli affreschi. Dalla villa di Livia ubicata al nono miglio della Flaminia, conosciuta come la villa ad gallinas albas (delle galline bianche), proviene una stanza sola, ma straordinaria. Si tratta del triclinio ipogeo della villa, scoperto nell’aprile del 1863 e da lì staccato nel 1952, dopo che i pochi decenni dalla scoperta erano bastati a rovinarlo più che nei due millenni precedenti. Le quattro pareti della stanza semi-interrata, utilizzata soprattutto come sala da pranzo e di ritrovo per difendersi dalla calura estiva, rappresentano il giardino esterno: un affresco animato da 23 alberi e 67 uccelli. Le ultime ricerche hanno permesso di datare il dipinto al 38 avanti Cristo, l’anno del matrimonio fra Augusto (allora Ottaviano) con Livia che aveva ereditato la villa, una casa di campagna per il suo otium, secondo la tradizione repubblicana, dalla ricca famiglia.

    Villa di Livia - Affresco

    Villa di Livia – Affresco

    Si tratta del primo esempio conosciuto di pittura da giardino: un modello che farà presto scuola, per esempio con i tentativi di imitazione nella villa della Farnesina, nell’auditorium della casa di Mecenate sull’Esquilino, in numerose case di Pompei e dell’area vesuviana. Ma oltre a inaugurare un genere pittorico, l’affresco di Livia è anche la prima espressione di quella che sarà la filosofia del principato in età augustea. Anche i vicini affreschi provenienti dalla villa della Farnesina, abitazione fra Trastevere e il Vaticano, vennero scoperti nella seconda metà dell’Ottocento, grazie ai lavori di consolidamento degli argini del Tevere. Si può dire oggi con certezza che provengono dalla villa fatta costruire dal generale e braccio destro di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa, in occasione del suo nuovo matrimonio con la figlia (l’unica, nata da un precedente matrimonio con Scribonia) di Augusto: sono quindi immediatamente successivi al 21 avanti Cristo.

    Villa di Livia - affresco

    Villa di Livia – affresco

    Lo stile artistico è lo stesso dell’ipogeo della villa di Livia, la scuola, la stessa, diversa, talvolta opposta, è però la filosofia delle rappresentazioni, che rispecchiano lo spirito ribelle (al padre e alla matrigna Livia) di Giulia. Dal punto di vista iconografico, ad esempio, se la filosofia del principato augusteo trova in Apollo la divinità di riferimento (non a caso nel triclinio ipogeo predomina l’alloro, pianta sacra al dio), Giulia sembra invece preferire Dioniso, divinità invisa ad Augusto perché prediletta dal suo arcinemico Antonio. La scoperta di un quadretto raffigurante Dioniso e di una statuetta dello stesso dio, in quella che doveva essere la camera da letto di Giulia, permettono mille illazioni. Ma la casa era anche del marito di Giulia, Agrippa. Ce lo ricorda anche una delle pochissime rappresentazioni giunte fino a noi della battaglia navale di Azio.

  2. Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti

    Alle origini della storia cristiana in Occidente, nella Roma dei primi secoli dell’Impero, dove la parola dell’uomo di Nazareth giunse via mare e si radicò nelle comunità ebraiche già presenti nella Città Eterna, i veri motori di diffusione furono le Domus Ecclesiae.

    Basilica dei Santi SIlvestro e Martino ai Monti - Altare Maggiore

    Basilica dei Santi SIlvestro e Martino ai Monti – Altare Maggiore

    Privati cittadini di ogni estrazione sociale, patrizi e schiavi raggiunti da una prospettiva diversa sulla storia umana e sul cammino del mondo, praticavano la vera povertà cristiana, ovvero la condivisione, mettendo le proprie case a disposizione di una comunità di persone diffidenti e costrette alla clandestinità per incontrarsi, rendere culto, sostenere i poveri, le vedove e gli orfani, creare fraternità e giustizia.
    Il protocollo che ne derivò è quasi sempre lo stesso: nei secoli successivi, laddove sorgevano questi luoghi di convegno, i fedeli di Cristo fecero erigere le chiese o le basiliche principali come memoria di quanto edificato attraverso le relazioni umane, il mutuo soccorso e le sofferenze delle persecuzioni.
    Gli indirizzi, le case in cui avvenivano le riunioni dei cristiani delle origini erano detti tituli e il genitivo indicava il munifico personaggio che metteva  a disposizione la propria dimora.

    Basilica di San Pietro - affresco di Filippo Gagliardi

    Basilica di San Pietro – affresco di Filippo Gagliardi

    Titulus Equitii era dunque l’antica domus – o comunque una proprietà immobiliare – di Equizio, probabilmente un ricco presbitero che era stato prefetto all’Annona. Questo edificio, da lui donato alla Chiesa di Roma, fu trasformato nel primo quarto del trecento d.C. nella piccola chiesa o luogo di incontro comunitario che poi diverrà la Basilica attuale. Proprio qui una tradizione erronea vuole che il Papa Silvestro I convincesse l’imperatore Costantino a indire il concilio di Nicea “a salvaguardia della pace tra i cristiani”. Il vero ispiratore del concilio niceno fu invece papa Milziade I. Quanto alla dedicazione e al coinvolgimento di papa Silvestro I nell’area interessata, si trattò probabilmente di una correzione successiva e strumentale: la zona del Colle Oppio era infatti abitata anzitutto da barbari di confessione ariana e occorreva una figura di provata fede cattolica a cui affidare una nuova e bonificata memoria. Nel sesto secolo, pertanto, la Chiesa fu ricostruita e ampliata da papa Simmaco e dedicata sia a san Martino di Tour che a papa Silvestro.

    Lampada votiva ricavata dalla tiara di San Silvestro

    Lampada votiva ricavata dalla tiara di San Silvestro

    Pochi sanno che la dedicazione fu ampliata anche a Sant’Ambrogio, anch’egli strenuo difensore della fede dagli attacchi delle dottrine eretiche. I sotterranei della Basilica, gestita dai Benedettini prima e, dal 1299, dai Carmelitani per volontà di Bonifacio VIII, furono quasi certamente adibiti in epoca paleocristiana a magazzini annonari per derrate alimentari – quelle da distribuire ai cittadini diseredati. Con l’avvento dei Carmelitani l’edificio cultuale sovrastante divenne una casa di studio e un faro di irradiamento teologico per tutta la cristianità allora conosciuta.

  3. Una dolce vita?

    “Una dolce vita? Dal Liberty al design Italiano. 1900-1940” è il titolo dell’affascinante mostra in corso al Palazzo delle Esposizioni che visiteremo insieme il prossimo 9 gennaio 2016.

    Panciotto per Fedele Azari - Fortunato Depero

    Panciotto per Fedele Azari – Fortunato Depero

    La dolce vita del titolo non ha naturalmente nulla a che vedere con via Veneto e con la Roma degli anni Sessanta, ma si rifà piuttosto a quel periodo storico, artistico e sociale che va sotto il nome di Belle Époque: epoca bella, dunque, o vita dolce. Un’espressione che sottolinea la voglia di vivere e l’ottimismo di una fase storica che paradossalmente risulterà invece una delle più tormentate e tragiche della storia dell’umanità. L’arco temporale della mostra si apre con l’Età giolittiana, a pochi decenni dall’unificazione italiana e da quei fermenti politico-sociali che percorsero l’Europa intera facendo tremare e incrinare le fondamenta di tutti gli imperi; e copre, nei quarant’anni indicati dal titolo, tragedie immani come la Prima guerra mondiale, la depressione americana, l’avvento di fascismo e nazismo e lo scoppio della Seconda guerra mondiale con tutti gli orrori che conosciamo.

    Che senso può avere allora, sembra chiedersi la mostra, parlare di “dolce vita” e prima ancora di Belle Époque?

    Vaso a bulbo - Galileo Chini

    Vaso a bulbo – Galileo Chini

    Innanzitutto fu un periodo caratterizzato da un gran numero di straordinarie innovazioni tecniche e tecnologiche che cambiarono in meglio la vita di intere popolazioni. Nel breve volgere di pochi anni l’illuminazione elettrica pubblica delle strade venne a sostituire quella a gas (in Italia prima a Torino e poi a Milano) rendendo più sicure le strade ed allungando così le serate della società borghese, che riempie i teatri di prosa e soprattutto quelli dell’opera.

    In un rincorrersi di invenzioni inimmaginabili fino a pochi anni prima, arrivano poi l’automobile, il cinema, la radio, la macchina per scrivere, i manifesti pubblicitari, l’aeroplano. I grandi transatlantici – di cui il Titanic sarà la tragica epitome – avvicinano le due metà dell’Occidente, il mondo intero è a portata di mano.
    I nuovi mezzi di comunicazione, soprattutto il cinema e la radio, portano anche alla nascita di un “tipo” umano fino allora sconosciuto: il divo. È un divo, per esempio, Gabriele D’Annunzio, il primo letterato italiano a diventare “personaggio”. Leggere Il Piacere diventa un must, e le pose eccentriche e teatrali del suo autore sono un modello e un’ispirazione per borghesi e aristocratici di successo che cercano di essere alla moda. Ed è un divo anche Giacomo Puccini, il compositore del momento, acclamato dal mondo intero. Con La Bohème consacra uno stile di vita nuovo, più libero, all’insegna dell’arte e del rifiuto delle convenzioni; con La Fanciulla del West – che non a caso debutta in America, al Metropolitan di New York – inventa il musical in stile western.

    Vaso a murrine con sostegno in ferro battuto - Umberto Bellotto

    Vaso a murrine con sostegno in ferro battuto – Umberto Bellotto.

    La vita migliora e si allunga un po’ per tutti, anche grazie ai progressi della medicina: dalla scoperta dei vaccini alla diffusione della pasteurizzazione, all’introduzione dell’anestesia nelle operazioni chirurgiche, si direbbe davvero che medici e scienziati siano a un passo dal dare scacco alla morte.
    Tra le manifestazioni che meglio sintetizzano quest’epoca – o meglio, questa Belle Époque –, le Esposizioni Universali esaltano le magnifiche sorti e progressive del cammino dell’umanità, lasciando a bocca aperta le folle che gremiscono gli stand avveniristici e ammirano le grandiose costruzioni erette per l’occasione come il Crystal Palace a Londra o la Tour Eiffel a Parigi.

    Ma se da un lato la vita sorride e si sorride alla vita, il mondo occidentale è percorso anche da fortissime tensioni sociali portate dalla seconda rivoluzione industriale e dall’avvento di un capitalismo più che mai aggressivo e spietato. L’America sprofonda nella Depressione, il crollo dell’impero asburgico spinge l’Europa centrale verso il baratro e l’orrore della miseria, con le conseguenze che sappiamo. L’Italia giolittiana constata il tradimento delle tante promesse sbandierate dal Risorgimento e da chi – Garibaldi su tutti – aveva prospettato l’unificazione del paese come soluzione di tutti i mali, compresi i secolari problemi del mezzogiorno. I contadini che avevano sperato nella riforma agraria vedono crollare ogni illusione, gli operai non possono permettersi nemmeno quei generi di prima necessità che concorrono a produrre.

    Pupazzo Campari - Fortunato Depero

    Pupazzo Campari – Fortunato Depero

    Le manifestazioni di piazza sono ormai inevitabili: le più note, “le proteste dello stomaco” che scuotono Milano nel 1898, si concludono tragicamente con l’intervento dell’esercito voluto da re Umberto I. Il generale Bava Beccaris ordina di aprire il fuoco sulla folla: è un bagno di sangue, il cui bilancio definitivo non fu mai comunicato ufficialmente.

    E poiché il mondo si è fatto più piccolo e più vicino, per sfuggire alla fame si parte per le Americhe. Interi paesi si svuotano, nel sud ma non solo, per stivarsi nei sovraffollati comparti di terza classe dei transatlantici e raggiungere gli Stati Uniti, certo, ma anche Canada, Argentina, Venezuela, Brasile. Mete sognate di viaggi in cui rassegnazione e speranza, disperazione e incrollabile ottimismo si mescolano e si confondono.

    Quest’era di paradossi e di contrasti non poteva non trovare un riscontro nell’arte. In Italia, in particolare, sembra prevalere l’ottimismo ad ogni costo – anche a quello, magari, di chiudere un po’ gli occhi per non vedere. Il desiderio, anzi la convinzione che tutto andrà per il meglio. E l’arte diventa Nouveau, diventa Liberty.
    Si reagisce all’algido rigore del neoclassicismo con un ritorno vigoroso della linea curva e sinuosa spesso ispirata direttamente dalla natura: fiori, tralci di foglie, ramages e animali entrano nella decorazione delle architetture e non solo. Ma il mondo dell’arte incontra – ed è la prima volta che accade – anche quello dell’industria: le arti applicate, fino a quel momento considerate di secondo piano, conquistano il centro della scena.
    Oggetti di uso quotidiano, sedie, tavoli, divani, piatti, bicchieri ma anche abiti, giocattoli, strumenti musicali diventano “oggetti d’arte”, atti non solo a svolgere una funzione ma anche ad assolvere il ruolo di oggetto d’arredo così come oggi ancora lo intendiamo.
    Dal liberty e dalle sue sinuose rotondità nasce il design, e in particolare il design italiano, con le prime firme che ne fanno un’eccellenza ammirata ancora oggi dal mondo intero: da Depero a Balla, Bugatti, Cambellotti fino a Gio Ponti. Una forma di creatività inarrestabile che nemmeno la Bahaus e il razionalismo riuscirono completamente a soffocare.
    La bellissima mostra allestita presso il Palazzo delle Esposizioni ci proietta direttamente in questa atmosfera di genialità: oggetti, colori, forme sempre nuove e sorprendenti che comunicano quel senso di meraviglia che è una delle caratteristiche di quest’epoca, come di chi ammiri uno spettacolo di fuochi d’artificio in una notte limpida d’estate.

  4. Gianlorenzo Bernini e Francesco Borromini: un confronto