Pubblichiamo un articolo di Andrea Giardina, storico di Roma Antica, apparso nella rivista National Geographic il 1 giugno 2018.
I secoli di incuria e gli interventi del Ventennio fascista hanno profondamente cambiato il loro aspetto. Studi recenti ci dicono che i fori erano spazi chiusi da alte mura, isolati rispetto al fermento della vita
cittadina. Al loro interno, però, mille attività prendevano vita: c’era spazio per il sacro e il profano, il lavoro più febbrile e lo stanco chiacchiericcio degli sfaccendati.
Ricostruire mentalmente le architetture, gli spazi, la vita che si svolgeva nella zona dei Fori di Roma, è un’impresa difficile e appassionante. Il problema più ovvio è rappresentato da ciò che manca. Ogni tanto qualcuno si diverte a calcolare quante sono le pagine perdute dei giuristi romani rispetto a quelle pervenute nel Digesto, quante le epigrafi, quanti gli storici e i poeti cancellati per sempre. Si potrebbe fare lo stesso con i resti dei Fori: quanti metri cubi di materiali – pietre, marmi, mattoni, malta – rimangono oggi degli antichi edifici romani? Il calcolo, anche se inevitabilmente approssimativo, darebbe la dimensione tangibile del nostro irrimediabile lutto.