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  1. La chiesa di San Saba e i monaci di Gerusalemme

    Il Rione San Saba, detto comunemente “Piccolo Aventino”, costituisce, sin dall’antichità, una sorta di appendice del destino urbanistico del Grande Aventino.

    Piazza Gian Lorenzo Bernini e i giardini pubblici. Si ringrazia Romasparita.

    L’Aventino è il colle più meridionale della città e il più vicino al Tevere, con pendici molto scoscese e una sella profonda che da sempre divide le due sommità dette Piccolo e Grande Aventino. Popolatosi in ritardo nella Roma antica, ebbe prima un carattere popolare, poi – a seguito dell’allontanamento del porto, trasferito ai nuovi impianti imperiali oltre Ostia – e servito da un ramo dell’acquedotto, fu ricercato per residenze di lusso. Completamente abbandonato nel Medioevo, restò del tutto ai margini della città, coltivato a vigne, ma senza splendore di ville. Sul Piccolo Aventino l’unico presidio furono i complessi conventuali, cinti da mura come fortilizi: San Saba e Santa Balbina.
    Ancora all’inizio del Novecento la chiesa e il monastero di San Saba erano ancora in aperta campagna, ma con il primo piano regolatore approvato dalla giunta Nathan nel 1909 la zona diviene una sorta di quartiere operaio satellite di Testaccio e vi viene edificata, tra il 1907 e il 1914, una città – giardino. Il progetto è di Quadrio Pirani e prevede la realizzazione su dieci lotti di villini bifamiliari con e palazzine alte quattro piani. Il giovane architetto scelse di coprire le facciate esterne dei villini e delle palazzine con piccoli mattoni rossi per poter armonizzare le nuove architetture con quelle del monastero e delle mura. Ancora oggi il quartiere è immerso del verde e in questo verde risultano ancora incastonati il monastero e la chiesa di San Saba.
    Probabilmente è proprio l’isolamento anche fisico di cui ha goduto nei secoli il colle che ha favorito l’isolamento conventuale che ancora oggi caratterizza l’atmosfera della piccola chiesa di San Saba e le ha consentito di arrivare ai nostri giorni sostanzialmente ben conservata e ricca di testimonianze.

    La chiesa di San Saba – Ettore Roesler Franz. Si ringrazia Romasparita.

    La tradizione parla di un cenobio in cui sarebbe vissuta Silvia, madre di san Gregorio Magno, la quale avrebbe inviato giornalmente al proprio figlio, residente sul Celio, un magro pasto di verdure, anche se fragranti e da lei stessa raccolte negli orti vicini. La storia e l’archeologia ci accertano della venuta nel VII secolo, in questo posto, di monaci orientali desiderosi di rinnovarvi il loro convento di Gerusalemme, che era stato fondato da san Saba nel secolo V ed era stato distrutto dalla conquista araba. I monaci fondarono altri monasteri a Roma – ad esempio quello alle Tre Fontane – e costituirono qui un oratorio che, nel corso del X secolo, si trasformò nella chiesa attuale. Questa però fu opera dei benedettini che avevano, in quel periodo, sostituito gli orientali. E, nel XII, a rimpiazzare i benedettini arrivarono i cluniacensi. Costoro restaurarono a fondo l’edificio, quasi ricostruendolo, e lo fecero ornare dai marmorari romani. Un altro intervento si ebbe verso il 1463 a cura del cardinale Francesco Piccolomini che fece sopraelevare il portico e costruire la tipica ampia loggia che riveste la facciata. Alla chiesa, che è sul punto più alto del colle e che si annuncia con un protiro del Duecento, si arriva con una breve gradinata che porta a uno spiazzo erboso – certo l’antico atrio – chiuso da muri, dove, in un’atmosfera di grande pace, il tempo si ferma. Il portico a pilastri che precede la chiesa è ricchissimo di sarcofagi antichi e di altro materiale archeologico. Una scaletta in un angolo scende al livello della chiesa primitiva, assai più piccola dell’attuale. Un bel portale del 1205 è opera di Giacomo, padre di quel Cosma che dette nome alla dinastia dei marmorari-mosaicisti cosmateschi. Il campanile, sulla sinistra della facciata, è tozzo ed emerge di poco perché è quel che avanza dopo un crollo di epoca remota. L’interno, ripristinato a seguito degli scavi condotti nel 1909 e delle successive sistemazioni, è a tre navate, divise da quattordici colonne di spoglio assai variate e da archi. La navata centrale, sulla quale si distende un soffitto moderno a capriate in vista, è ricoperta, a modo di tappeto, da un bel lavoro cosmatesco.

    La carità di San Nicola – Chiesa di San Saba.

    Altro lavoro cosmatesco è una parte della schola cantorum ritrovata negli scavi del 1909 firmata dal “magister” Vassalletto, ricomposta sulla parete della navata destra: affascinante per le lucenti riquadrature a mosaico e per la pezzatura di marmi raffinati, quasi un campionario di pietre rare. Sulla sinistra, si trova una cosiddetta “quarta navata” che deve essere in realtà un locale conventuale aggiunto successivamente alla chiesa. Vi sono resti di affreschi del XIII secolo. Altri affreschi della chiesa primitiva si trovano lungo il corridoio che conduce alla sagrestia. L’abside centrale deve aver perduto una decorazione musiva e ha invece una modesta decorazione ad affresco del 1575, anche se conserva una drammatica Crocefissione di un trecentista. Un’Annunciazione del secolo XV si trova sull’arcone dell’abside. Il presbiterio conserva, poi, una cattedra marmorea con un magnifico tondo cosmatesco e un ciborio ricomposto con quattro belle colonne di marmo e una copertura ottagonale a colonnine. Al di sotto è la confessione. Accessibile dal portico esterno è l’antico oratorio con frammenti di pitture dei secoli IX e X.

    Roma, 13 ottobre 2018

  2. La Basilica di San Clemente: il registro archeologico dell’Urbe

    San Clemente sorge lungo l’antica via di San Giovanni, via stretta, tortuosa e fiancheggiata da siepi fino alla sistemazione che le diede Sisto V.

    San Clemente – Mosaico dell’abside.

    La via era chiamata ‘Strada maggiore’ o ‘sacra’ o ‘papalis’ perché costituiva il normale percorso delle processioni pontificie verso la basilica di San Pietro. Fino alla fase della moderna edificazione, prospettavano su di essa solamente chiese e conventi, come la chiesa di San Giacomo de Culiseo con cimitero, distrutta nel 1815, o i conventi di San Clemente e dei Santi Quattro Coronati e gli annessi dell’Ospedale di San Giovanni. Per quanto piuttosto banalizzata da molta edilizia moderna senza linea, la strada – osservata per esempio dal Colle Oppio – rivela ancora i suoi vecchi caposaldi pittoreschi nella severa massa delle costruzioni raggruppate attorno alla Chiesa dei Santi Quattro Coronati.
    Pare che il corteo papale evitasse in antico la prima parte della strada, quella che passa nei pressi del Colosseo, dirottando piuttosto per la via dei Santi Quattro Coronati a causa delle voci popolari che a questa zona collegavano lo scandaloso evento di un inopinato parto durante il corteo papale, attribuito alla papessa Giovanna, un leggendario racconto dell’Alto Medioevo.
    E proprio da via di San Giovanni si accede alla basilica minore di San Clemente, una delle mete assolutamente imperdibili di Roma: una vera e propria propria stratigrafia delle varie epoche non solo dell’edificio sacro, ma della stessa storia di questa zona dell’Urbe.
    La chiesa attuale si affaccia con un piccolo protiro e con l’atrio del XII secolo sulla via di San Giovanni. Essa è il risultato della ricostruzione promossa dal grande papa

    San Clemente – I tre livelli di visita.

    Pasquale II nel 1108, dopo la decisione di abbandonare e interrare l’edificio precedente che era stato devastato dai Normanni di Roberto il Guiscardo nel 1084, quando dalla vicina Porta Asinaria essi avevano fatto irruzione in soccorso a Gregorio VII, appiccando incendi e applicando una dura legge di guerra alla città.
    Nonostante i rimaneggiamenti interni degli inizi del Settecento, e il relativo soffitto, a cassettoni dorati, la chiesa presenta sostanzialmente la sua struttura medievale: pianta basilicale a tre navate divise da due file di sette colonne di spoglio, i cui capitelli appartengono però al restauro barocco, la schola cantorum, con elementi provenienti dalla chiesa più antica, i due amboni e il candelabro, un recinto marmoreo che separa il presbiterio e il pavimento cosmatesco. Nel presbiterio stesso c’è un ciborio a quattro colonne di pavonazzetto del XII secolo che corrisponde alla cripta con il corpo di San Clemente; nella semicalotta dell’abside risplende nelle sue dimensioni grandiose il mosaico del “Trionfo della Croce” della prima metà del secolo XII. Altri mosaici, però del secolo successivo, sono nell’arcone trionfale.
    A questo livello della chiesa vanno osservate alcune belle cappelle aggiunte. In primo luogo la Cappella di Santa Caterina, a destra dell’ingresso, voluta dal cardinale Gabriele Condulmer, poi papa Eugenio IV, il quale commissionò il ciclo di affreschi a Masolino da Panicale, eseguiti prima del 1431, forse con un intervento di Masaccio: si tratta di una delle prime testimonianze della pittura rinascimentale in Roma e nel complesso della basilica sono esposte anche le sinopie rinvenute nel restauro del 1956.

    Morte e riconoscimento di Sant’Alessio.

    Sono da osservare alcuni bei sepolcri, di cui quello del cardinale Venerio attribuito alla scuola di Mino da Fiesole e quello del cardinale Roverella, forse opera di Andrea Bregno e Giovanni Dalmata. La Cappella di San Giovanni, del Quattrocento, ha una bella statua del santo e un altare, entrambe opere moderne di Raoul Vistoli. Nel 1886 fu costruita la cappella dedicata ai Santi Cirillo e Metodio, che ulteriormente sottolinea il legame della basilica di San Clemente con i popoli Slavi.
    Una cappella posta al lato destro dell’altare conserva una Madonna del Sassoferrato. Nella Cappella di San Domenico sono conservate opere di Sebastiano Conca, 1715, che raccontano la vita del santo.
    Al di sotto di questa chiesa si trova la primitiva basilica di San Clemente, risalente al 385, portata alla luce dagli scavi inizialmente condotti nel 1857 da padre Mulloly, dei religiosi irlandesi che hanno in custodia il complesso. L’edificio del IV secolo, sempre a pianta basilicale, assai più largo del successivo era preceduto da un nartece. Vi si accede dalla sagrestia percorrendo una scala lungo le cui pareti sono raccolti i reperti marmorei antichi ritrovati in loco.
    Questa chiesa primitiva, gradualmente messa in luce dagli scavi voluti dai successivi rettori irlandesi della chiesa, si presenta oggi ingombra dei muri di sostegno della chiesa superiore e dei supporti creati durante i lavori di liberazione e in sostituzione del pietrame di costipazione che è stato eliminato. Una fila di colonne originarie è incapsulata in uno dei muri.

    Iscrizione nell’affresco del miracolo di San Clemente con Sisinno.

    La basilica di San Clemente del IV secolo prende vita dalla trasformazione di edifici pre-esistenti e raccoglie in se documenti storico – artistici di notevole pregio. Tra questi l’affresco che racconta della morte e del riconoscimento di Sant’Alessio,che è datato all’epoca del papato di Leone IV tra l’847 e l’855, e un ciclo di affreschi piuttosto esteso e ben riconoscibile che invece narra vari momenti della vita di San Clemente e che conserva una delle prime documentazioni del passaggio dalla lingua latina al volgare.
    Il documento è costituito da una serie di iscrizioni inserite in un affresco che rappresenta un frammento della Passio Sancti Clementis, in cui il patrizio Sisinnio è nell’atto di ordinare ai suoi servi, Gosmario, Albertello e Carboncello, di legare e trascinare san Clemente. I servi, accecati come il loro padrone, trasportano invece una colonna di marmo. Si leggono queste espressioni, la cui attribuzione ai singoli personaggi è incerta: Sisinium: «Fili de le pute, traite, Gosmari, Albertel, traite. Falite dereto co lo palo, Carvoncelle!», San Clemente: «Ob duritiam cordis vestrum, saxa trahere meruistis». Traduzione: Sisinnio: «Figli di puttana, tirate! Gosmario, Albertello, tirate! Carvoncello, spingi da dietro con il palo», San Clemente: «A causa della durezza del vostro cuore, avete meritato di trascinare sassi». La prima parte è tutta in volgare, con chiare influenze romanesche.

    Il vicus negli scavi di San Clemente.

    Da notare che le espressioni de le e co lo sono già preposizioni articolate, che non esistevano nella lingua latina. La seconda parte è scritta in latino, ma vi sono varie stranezze; duritiam, ad esempio, è un accusativo, ma dovrebbe essere un ablativo: è un chiaro segnale che ormai non si usino più i casi latini, ma ci si affidi a un caso unico. Inoltre, in luogo del latino trahere si nota la caduta dell’h, traere.
    La basilica del IV secolo venne realizzata al piano superiore di un horreum, ovvero un magazzino di epoca romana, già a sua volta modificato in precedenza. Dalla basilica del IV secolo perciò è possibile scendere a un livello di scavo ancora più basso dove si trovano due edifici principali separati da un vicus della larghezza di circa 70 cm che gli scavi archeologici hanno reso percorribile.

    L’horreum è un edificio dalle spesse murature in tufo la cui costruzione viene fatta risalire all’epoca flavia. Esso era interpretato, soprattutto per la sua prossimità con il Colosseo, come un magazzino connesso con questa struttura e con i giochi che in esso prendevano vita. Ma una nuova ipotesi si è fatta più concreta: questo grandissimo magazzino può infatti per dimensione e per collocazione essere la Zecca Imperiale, qui trasferita nel IV secolo dopo l’incendio dell’80 dopo Cristo. Questa ipotesi sarebbe confermata dal ritrovamento di epigrafi databili al 115 dopo Cristo che i funzionari e gli operai della Zecca avevano dedicato ad Apollo, Ercole e Fortuna.
    Il secondo edificio è un mitreo realizzato tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo in alcuni ambienti di un’insula più antica. Di queste tre stanze quella datata al III secolo, con volte a botte, è interpretata come “Scuola Mitraica”, la seconda stanza

    Il mitreo di San Clemente.

    è il vestibolo del mitreo e si presenta ornata di stucchi, mentre la prima è il mitreo vero e proprio, coperta da una volta a botte molto bassa, presenta lungo le pareti undici aperture, costituenti i simboli astrologici legati al culto di Mitra. Lungo le pareti sono disposti anche i sedili di pietra.
    Al centro di questa stanza è disposta un’ara sulla quale si può chiaramente distinguere la scena di Mitra nell’atto di sacrificare il toro.
    Durante gli scavi che hanno portato alla luce questi ambienti è stato necessario creare una canalizzazione che permettesse il drenaggio delle acque di un lago che si era formato sotto la basilica di san Clemente. Questa canalizzazione è stata aperta attraverso un’insula di abitazioni, preesistenti all’incendio neroniano, e in quest’occasione si è trovata anche una piccola zona catacombale del V o del VI secolo dopo Cristo, riferibile al periodo successivo all’invasione di Alarico, quando cominciò a essere disatteso il divieto di seppellimento dentro la linea del pomerio.

    Roma, 2 settembre 2018

  3. Racconto

    La salamandra di San Luigi dei Francesi

    Alfredo Cattabiani

    In occasione della passeggiata serale dedicata al bestiario delle meraviglie, ovvero un racconto in cammino che comprende alcuni degli animali di pietra che vivono nelle strade e nelle piazze della città di Roma, pubblichiamo questo scritto tratto dal

    Nutrisco et extinguo – San Luigi de’ Francesi.

    volume di Alfredo Cattabiani “Simboli, miti e misteri di Roma” edito da Newton Compton.
    Sulla facciata di San Luigi dei Francesi due enormi salamandre, scolpite nel XVI secolo da Jean de Chenevières, eruttano lingue di fuoco. La prima, sulla sinistra, è accompagnata dal motto: «Nutrisco et extinguo», nutro e spengo; l’altra, sulla destra, da «Erit christianorum lumen in igne», sarà la luce dei cristiani nel fuoco.
    Sono imprese di Francesco I ovvero, come spiegava il Contile (Luca Contile, Cetona, 1505 – Pavia, 28 ottobre 1574 è stato un letterato, commediografo, poeta, storico, diplomatico e poligrafo italiano, ndr) componimenti di «figura e motto, rappresentando vertuoso e magnanimo disegno».

    continua…

  4. Alla scoperta di Borgo, il Rione ad limina Petri

    Nell’ager vaticanus, vale a dire nel vasto territorio compreso fra la riva del Tevere,

    Quartiere di Borgo dalle mura – Mappa di Roma del 1640.

    Castel Sant’Angelo e il Vaticano, si estendevano, in antico, i luoghi di delizia della corte imperiale. Qui sorsero le prime testimonianze del Cristianesimo in virtù della presenza della tomba dell’apostolo Pietro, martirizzato nel circo di Nerone nell’anno 64. Oltre il circo esisteva in quest’area un vasto sepolcreto dove, in una tomba terragna, fu deposto anche il primo papa. Il sito, divenne, da subito, meta di pellegrinaggi da parte della comunità cristiana di Roma.
    E’ interessante raccontare che la Roma cristiana si estese molto al di là delle mura Aureliane, perché, già a partire dall’inizio del VI secolo, si erano formati dei veri e propri suburbi intorno alle tre maggiori basiliche cristiane sorte nel IV secolo per volontà dell’imperatore Costantino, San Lorenzo sulla via Tiburtina, San Paolo sulla via Ostiense e San Pietro ai piedi del colle Vaticano. Questi suburbi erano connessi alle porte cittadine da lunghi porticati e costituivano delle propaggini di Roma nella campagna circostante. Essi formavano una specie di periferia dominata dalla presenza della Chiesa, cosparsa di edifici sacri ma anche di fattorie e di ville.
    Va detto che il sepolcro e il santuario di san Pietro superarono quelli dedicati a san Lorenzo e a san Paolo per ricchezza e importanza: romani e forestieri vi affluivano in numero sempre crescente per offrire doni, pregare e implorare la salvezza dell’anima. La basilica di San Pietro divenne così un centro di devozione popolare, in aperta concorrenza col centro ufficiale della Roma cristiana, vale a dire la basilica di San Giovanni in Laterano, la sede papale.

    San Pietro nella prima metà del 1500.

    Nei pressi di San Pietro s’insediarono numerosi sovrani britannici: Cadwalla del Wessex nel 668, Coinred della Mercia una generazione più tardi, Ina del Wessex nel 726, e infine Offa, proveniente dall’Anglia orientale, accompagnato da nobili, popolani inglesi d’ambo i sessi, digiunando e facendo elemosine. Intorno alla metà dell’VIII secolo, nordici di ogni condizione si stabilirono ad limina Petri, e dai loro paesi natali affluirono ricche donazioni destinati al soccorso dei poveri e alle lampade di San Pietro. Col passare del tempo, quindi, le varie colonie straniere, composte da ricchi col loro seguito, da poveri gregari e da eremiti, si raccolsero in appositi insediamenti o borghi nazionali. Erano nate le scholae nordiche. La prima di queste, fondata già nel 726, fu quella dei Sassoni, installata all’incirca nel luogo dove oggi sorgono l’ospedale e la chiesa di Santo Spirito in Sassia, il cui nome deriva proprio dall’antico toponimo di Burgus Saxonum, e fa sopravvivere questa presenza nordica nome quartiere di Borgo, compreso tra San Pietro e il Tevere, ancora oggi. Intorno al 770, a Nord della basilica s’insediò la schola dei Longobardi, con l’annessa chiesa di San Giustino, oggi non più esistente; verso la fine del secolo fu fondata a Sud dell’atrio la schola dei Franchi, e infine quella dei Frisoni, gruppo etnico germanico nativo delle zone costiere dei Paesi Bassi e della Germania, sorse nella zona di San Michele in

    Pianta della Antica Basilica di San Pietro – Tiberio Alfarano.

    Borgo, oggi chiesa dei SS. Michele e Magno, sulla collina a Sud-Est del portico berniniano. Nel 799 tutte queste scholae erano già strutturate come organismi civili e militari autonomi, e solo col passar del tempo furono assimilate nella vita cittadina.
    Importanza strategica allo sviluppo di Borgo era rappresentato da ponte Sant’Angelo, unico accesso per e da Roma. Esso era controllato dal castello omonimo, già mausoleo di Adriano: chi aveva possesso di questo caposaldo dominava il santuario di San Pietro e il circostante Borgo, potendo garantire un’efficace protezione o costruire una potenziale minaccia. Verso Sud, una sola strada stretta tra la pendice del Gianicolo e il Tevere, collegava la zona di San Pietro con Trastevere. Bisognerà attendere il 1576 per regolarizzare il Borgo e aprire una nuova strada a Nord, la via Alessandrina, parallela alla via di Borgo Nuovo.

    Mappa del rione Borgo e suoi confini nel XVIII secolo.

    Un momento determinante per l’evoluzione della storia topografica di Borgo fu il 547, l’anno in cui il re goto Totila, insediatosi a Roma dopo un assedio vittorioso, ma temendo l’arrivo del generale bizantino Belisario, demolite in parte le mura aureliane, fece attestare la propria scarsa guarnizione sulla destra del Tevere nella regione vaticana. Qui, appoggiandosi alla fortezza del Castello, dietro la sua parte posteriore eresse una breve cerchia di mura: nasceva in tal modo il primo recinto fortificato, detto appunto Burg da cui l’italiano Borgo, e con esso un primo tratto di mura, una parte delle quali, nell’855, sarebbe stata utilizzata da Leone IV per ampliare la cittadella di San Pietro. Le mura di papa Leone IV racchiusero la basilica di san Pietro e le chiese minori, i conventi e gli ospizi; fuori le mura, a Nord, si estendevano i campi, i cosiddetti Prati, da cui dipendeva in gran parte l’approvvigionamento della città. Partendo da Castel Sant’Angelo, le mura Leonine passavano alle spalle della basilica vaticana e tornavano sulla sponda del Tevere nei pressi dell’attuale ospedale di Santo Spirito, trasformando la zona in un recinto fortificato, anzi in una nuova città, che dal suo fondatore prese il nome di Città Leonina, ricca di tre porte e 44 torri. L’inaugurazione ebbe luogo il 27 giugno dell’852, antivigilia dei santi Pietro e Paolo.
    Nell’XI secolo il Borgo aveva assunto già da tempo la forma che avrebbe poi conservato ben oltre il medioevo, in sostanza fino al 1938, quando nell’antica rete di strade antistante San Pietro fu aperto lo squarcio di via della Conciliazione, e di cui abbiamo un’efficace rappresentazione, oltre che nelle fonti documentarie, nelle piante e nelle vedute dei secoli dal XVI al XIX secolo. La sua posizione lo proteggeva dai tumulti popolari e da eventuali forze occupanti la città; Castel Sant’Angelo e le

    La partenza del duca di Choiseul da piazza San Pietro – Giovanni Paolo Pannini.

    mura Leonine garantivano una difesa, seppure non sempre pienamente efficace, contro gli assalti dall’esterno. In particolare, poiché Borgo ospitava la basilica dedicata al primo vescovo di Roma, i suoi successori ne fecero il loro rifugio: un recinto fortificato e consacrato, parte integrante di Roma ma situato ai margini della città, facile da difendere e utilizzabile come base di partenza per un eventuale contrattacco.
    Ecco perché i papi, per tornare da Avignone, nel 1377, chiederanno come condizione assoluta di entrare in possesso della Mole Adriana per attestarsi sicuri e difesi nella regione vaticana.
    Furono Sisto IV e Alessandro VI, in vista del Giubileo del 1475 e del 1500 a dare una nuova sistemazione a Borgo, riplasmando il Borgo Santo Spirito e il Borgo Vecchio e creandone di nuovi come il Borgo Sant’Angelo, detto inizialmente Sistino perché promosso da Sisto IV, e quello che – chiamato poi per antonomasia Borgo Nuovo – fu detto inizialmente Via Alessandrina dal nome di Alessandro VI. Questi si impegnò con ogni forma di incentivo per la sua realizzazione. Infatti, per agevolare il successo di questa impresa non lesinò con l’opera di persuasione verso la gente di Curia, né con gli stimoli economici né con le esenzioni di oneri vari. Si arrivò a concedere l’immunità a chi, avendo carichi pendenti con la giustizia, venisse a stabilirsi a Borgo. Tali allettamenti e agevolazioni dovevano in seguito ripetersi in occasione della realizzazione delle principali opere urbanistiche della città papale.
    In seguito, un secondo gruppo di borghi fu creato, sempre con il medesimo andamento verso la zona vaticana, fra il muro leonino, declassato a passetto, e il nuovo muro di Pio IV.

    La Spina di Borgo prima degli abbattimenti.

    Questa zona della città rimase a lungo avulsa dalla vita comunale romana, con propria, anche se non definita, giurisdizione. Solamente nel 1586, con il riordinamento amministrativo di Sisto V, Borgo divenne il quattordicesimo rione cittadino, ma continuò sempre ad aleggiare su di esso una speciale atmosfera di autonomia. Questo spiega, per reazione, il fermo proposito espresso dai borghigiani di non restare separati da Roma, dopo il 20 settembre 1870, quando l’orientamento governativo propendeva a lasciare la zona in una sfera di sovranità pontificia.
    Per l’apertura della via della Conciliazione fu distrutta, nel 1936, la “spina” di edifici che stava tra i Borghi Vecchio e Nuovo. Anche parecchie costruzioni dei due fianchi superstiti delle due strade furono ugualmente abbattute per dar luogo ad un’edilizia di mole consistente.

    Roma, 12 luglio 2018