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  1. Racconto

    San Giovanni. L’Agnello che appare debole, è Lui il vincitore

    Lorenzo Bianchi

    In occasione della visita a San Giovanni a Porta Latina e a San Giovanni in Oleo pubblichiamo un brano, dal testo di Lorenzo Bianchi “Ne scelse dodici. Dove sono sepolti gli apostoli di Gesù e alcuni loro amici”. Roma, Trenta Giorni Società

    San Giovanni Evangelista – Guido Reni.

    Cooperativa, Supplemento al numero di giugno 2007 del mensile 30Giorni, pp. 95.

    Secondo quanto ci riportano le fonti antiche, Giovanni, il prediletto di Gesù e fratello di Giacomo il Maggiore, fu l’unico degli apostoli che non morì subendo il martirio, ma per morte naturale, in età veneranda. Dopo la resurrezione di Gesù fu il primo, insieme a Pietro, a ricevere da Maria Maddalena l’annuncio del sepolcro vuoto, e fu il primo a giungervi, entrando dopo Pietro. Dopo l’ascesa al cielo di Gesù, gli Atti degli Apostoli ce lo mostrano accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio, dopo il quale fu catturato e poi con Pietro incarcerato. Sempre insieme a Pietro si reca in Samaria. Nel 53 Giovanni si trova ancora a Gerusalemme: Paolo infatti lo nomina (Gal 2,9) insieme a Pietro e a Giacomo come una delle «colonne» della Chiesa.
    continua…

  2. San Giovanni in Fonte al Laterano. Modello e archetipo di tutti i battisteri.

    Per il suo significato spirituale e per le testimonianze storico-artistiche che racchiude, il Battistero Lateranense — la cui antica denominazione è San Giovanni in

    Battistero di San Giovanni in Laterano.

    Fonte — costituisce uno degli ambienti più significativi della storia della Chiesa. È il primo battistero costruito in tutta la cristianità ed è il prototipo di gran parte dei battisteri realizzati successivamente.
    Ad edificarlo, nel IV secolo, fu Costantino, che lo ricavò in un ninfeo della proprietà dei Plauzi Laterani. Di forma ottagonale con colonne angolari e coperto di tetto ini legno, l’imperatore lo inaugurò nel 315.
    Sisto III lo ricostruì nel secolo V, periodo in cui il Battistero aveva l’ingresso rivolto a sud, come attesta la presenza del monumentale accesso con due colonne di porfido, da cui si giunge all’atrio mosaicato. Un ingresso così ampio doveva significare l’invito rivolto a tutti i popoli ad entrare nella salvezza attraverso il Battesimo. Anche i temi dei mosaici avevano attinenza con questo invito. Così, nell’absidiola di destra, oggi cappella dei Santi Cipriano e Giustina, troviamo la raffigurazione dell’Agnello, Cristo nel suo mistero di Morte e Risurrezione, e una elegante serie di volute arboree, che potrebbero rimandare al biblico albero della vita o alle foglie di acanto, col loro valore simbolico di vita che non muore. In questo mosaico, ritenuto dalla maggioranza degli studiosi parte originale del secolo quinto, troviamo anche colombe e croci gemmate, la preziosità della Passione; il pensiero va alla croce che si trova nella basilica di San Clemente, in cui le colombe stesse sono poste sulla croce come gemme.
    Dopo Sisto III, ? – 18 agosto 440, al tempo del pontefice Ilaro, 461 – 468, il Battistero fu arricchito di tre cappelle che si aprivano, come un trifoglio, sui lati Est, Ovest e Nord. Oggi solo la cappella del lato Est, dedicata a San Giovanni Evangelista, conserva la sua forma originaria, a croce greca con mosaico centrale. La cappella del lato Ovest, dedicata a San Giovanni Battista, si presenta ora con un aspetto tondeggiante, ma rimangono con la dedicazione di papa Ilaro le famose porte melodiose, che emettono nel muoversi un suono di organo dovuto alla vibrazione del cardine nel pesante bronzo.

    Cappella di san Giovanni Battista – Battistero di San Giovanni in Laterano.

    La cappella del lato Nord, oratorio della Santa Croce, fu eliminata nel 1586, al tempo di Sisto V, e sostituita con una nuova porta d’ingresso aperta sulla piazza e sull’obelisco egizio, come meglio si addiceva alla nuova sistemazione del luogo realizzata da questo pontefice urbanista. Dunque il mosaico superstite della cappella di San Giovanni Evangelista è senza dubbio l’elemento più importante che questi piccoli ambienti presentano. Esso mostra al centro l’Agnello – Cristo, circondato da una ghirlanda di fiori con all’interno i simboli eucaristici, uva e spighe di grano. La ghirlanda mostra anche il succedersi delle quattro stagioni, i fiori della primavera, le spighe dell’estate, l’uva dell’autunno e le foglie invernali imbiancate di neve. Quattro specie di uccelli, probabile allusione ai quattro elementi del cosmo, sono dinanzi a coppe di melagrane, simbolo d’incorruttibilità e vita eterna. Le anatre rappresenterebbero l’acqua, le pernici, che si muovono a terra, l’elemento terrestre, le colombe l’aria, mentre il fuoco sarebbe raffigurato attraverso pennuti variopinti, forse fenici. Sulla base delle preesistenti terme, secolo II, e utilizzando forse parti di un porticato con colonne, nel secolo VII fu creata una nuova cappella dal pontefice Giovanni IV, di origine dalmata, per accogliere le reliquie dei Santi della sua terra, in particolare Venanzio e Domnione. Essi sono presentati in uno splendido mosaico che riveste l’abside e la parete di fondo. Sono in posizione frontale, e non in processione

    Battistero di San Giovanni in Laterano.

    come nelle raffigurazioni di Sant’ Apollinare in Ravenna, intorno alla Vergine Maria in posizione orante, ai Santi Pietro e Paolo e ai Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, forse qui per la prima volta raffigurati insieme. Ai margini del catino absidale sono raffigurati i pontefici Giovanni IV, 640 – 642, e Teodoro, 642 – 649, che ultimò il lavoro.
    Il Battistero rimase sempre operante e con un ruolo centrale nella vita della Roma cristiana. Basti pensare che era parte integrante del complesso del Laterano e della residenza dei Pontefici; nel 1347, durante il periodo avignonese, qui, proprio nel Battistero, il giovane Cola di Rienzo si pose a capo del popolo di Roma. Durante il Medio Evo non furono intrapresi grandi lavori, ma qui furono posizionati elementi provenienti dalla Basilica o dal palazzo papale. Al Medio Evo per esempio risalgono le porte bronzee della cappella di S. Giovanni Evangelista. Ma la loro collocazione originaria era alla sommità della Scala Santa, che conduceva i pellegrini al palazzo pontificio. Furono fatte eseguire da Cencio il Camerario, probabilmente Cencio Savelli, futuro papa Onorio III, nel 1195. Durante il pontificato di Anastasio IV, 1153 – 1154, l’atrio del Battistero, con la sua doppia abside, divenne luogo di accoglienza e venerazione per le reliquie di alcuni martiri, e così le absidiole divennero rispettivamente la cappella dei santi Cipriano e Giustina, e la cappella delle sante Rufina e Seconda. Alla fine del secolo XIII è databile la Madonna con Bambino oggi nota come “Madonna del Fonte”, che ammiriamo nella Cappella di San Venanzio. Ma è con il Rinascimento e con il periodo barocco che si pose mano a rinnovare il Battistero con ogni sorta di decorazione. Gregorio XIII, 1572 – 1585, il cui draghetto alato campeggia sul fonte battesimale, fece eseguire il magnifico soffitto ligneo della cappella di San Venanzio. In particolare, furono i pontefici Urbano VIII, Innocenzo X e Alessandro VII a mettere qui all’opera gli artisti del Seicento.

    Cristo benedicente – Cappella di San Venanzio – Battistero di San Giovanni in Laterano.

    L’aspetto attuale dipende in gran parte dal radicale restauro voluto da papa Urbano VIII nel 1637, mentre il fregio esterno venne disegnato da Francesco Borromini all’epoca di Alessandro VII. Nell’interno, a pianta ottagonale, il punto centrale è un’urna di basalto verde che fu utilizzato per il battesimo a immersione ed ora è ricoperto in bronzo. Attorno, un anello di otto colonne in porfido; su di esso gira un ornato architrave marmoreo che regge esili colonnine bianche e sul quale è scolpito un elogio al battesimo dettato da Sisto III.
    Gli affreschi all’interno dell’aula battesimale celebrano l’impegno profuso da Urbano VIII come anche attestano le api della famiglia Barberini, sparse quasi dovunque nell’area del fonte. La colomba dello stemma di Innocenzo X, 1644 – 1655, figura ancora in questi affreschi nella allegoria dell’Abbondanza e della Pace, 1648, per celebrare la fine della Guerra dei Trent’anni. Questo pontefice promosse contemporaneamente la grande riedificazione della Basilica Lateranense. Lo stemma di Alessandro VII, la stella sui monti, decora l’esterno della sommità del Battistero. A causa dell’importanza del sito e della sua particolare natura, il barocco entrò in maniera garbata nel Battistero, senza alterarne le strutture classiche e senza sostituirle, ma limitandosi a decorarle con voli di angeli e puttini, finte scenografie e illusioni pittoriche. Gli elementi antichi e medievali vengono così assunti in una nuova visione dello spazio, secondo il gusto barocco che tutto trasforma in scenario, come in una grande rappresentazione teatrale. Un esempio grazioso è nella cappella delle martiri Rufina e Seconda, ove due finestrelle si affrontano nell’abside concava; dall’una, la Vergine Maria, con sembianze popolari e familiari, offre allo spettatore il bambino Gesù, dall’altra San Filippo Neri indica la Madonna a due fanciulli. La storia del Battistero conosce una nuova svolta con il pontificato di Paolo VI. Questi promosse nel 1967 grandi restauri che riportarono alla luce e misero in mostra le terme sottostanti e le varie fasi della storia dell’edificio. Una nuova pavimentazione e una sobria decorazione dell’area del fonte, cervi di bronzo e formelle cristologiche aperte sugli scavi, completarono l’opera. Nel 1976 il Battistero fu aperto ai visitatori e designato come sede parrocchiale di San Giovanni in Laterano.

    Roma, 21 novembre 2018

  3. Necropoli Ostiense

    Nell’area compresa tra la Rupe di San Paolo e l’ansa del Tevere si addensava una grande Necropoli le cui tombe si disponevano lungo la via Ostiense. L’area

    Lavori di sbancamento della Rupe di San Paolo. Si ringrazia Roma Sparita.

    sepolcrale era molto vasta e oggi resta in gran parte inesplorata, almeno per le zone che non sono andate perse nel passaggio tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento. Alcuni archeologi ritengono che quest’area andasse a fondersi con le poco distanti catacombe di Comodilla, dove oltre alla cappella dedicata alla patrizia romana, è presente la chiesetta dedicata ai due santi martirizzati proprio all’inizio di Via delle Sette Chiese, Felice e Adautto, qui sepolti.
    L’esteso sepolcreto assume poi una grande rilevanza, e successiva enorme espansione, dal momento in cui qui viene sepolto l’apostolo Paolo. Intorno a questo sepolcro, infatti, non solo i cristiani ci tenevano ad essere sepolti, ma si articolò pure una importantissima area di culto, che successivamente, in epoca costantiniana, portò alla costruzione della Basilica di San Paolo Fuori Le Mura.
    Le prime tombe vennero in luce nel 1700 con una delle prime sistemazioni dell’area di pertinenza della Basilica. Altri momenti di scavo furono nell’Ottocento, quando sulla Rupe di San Paolo venne realizzato un vero e proprio sbancamento necessario per collocare un collettore. Durante questo scavo ottocentesco moltissimi reperti sono andati perduti e non fu realizzata nemmeno una documentazione fotografica. Questi scavi furono seguiti da quelli condotti in occasione dell’allargamento della Via Ostiense tra il 1917 e il 1919, quando riemersero non solo nuove tombe, ma anche le decorazioni a stucco e ad affresco, i pavimenti a mosaico in ottimo stato di

    La necropoli Ostiense alla base della Rupe di San Paolo. Si ringrazia RomaSparita.

    conservazione, e anche alcuni oggetti di uso quotidiano. I reperti archeologici più significativi entrarono nelle collezioni archeologiche dei Musei Capitolini. Tali ritrovamenti costituirono un’importante testimonianza della popolazione che abitava questo settore della città dalla tarda età repubblicana al IV secolo dell’impero.

    Nel 2017 per decisione della Sovrintendenza capitolina lo studio dell’area archeologica è ripresa in collaborazione con gli antropologi del dipartimento dell’Università di Valencia, ed è stato avviato un nuovo programma di ricerca scientifica per scoprire, analizzare e catalogare i resti ossili combusti conservati ancora intatti all’interno delle olle cinerarie. La necropoli romana, infatti può ancora restituire importanti informazioni poiché copre un arco temporale che va dal II secolo avanti Cristo al IV secolo dopo Cristo e permette di leggere in maniera continua il passaggio dalla pratica della sepoltura per incinerazione a quella per inumazione.
    Il sepolcreto si sviluppa su tre piani principali con le tombe più antiche che occupano gli strati più profondi, costituite da una cella in blocchi squadrati di tufo, a quelle più recenti poste sopra alle prime, risalenti all’epoca imperiale, e costruite in laterizio. E’ identificabile anche un colombario.
    Le numerose iscrizioni funerarie rinvenute nell’area documentano l’appartenenza dei defunti a un ceto medio di artigiani e mercanti, spesso di origine servile, con nomi orientali o greci. Così, oltre a Giulia Fortunata, ricorrono nomi più orientaleggianti quali Selene e Cleopatra. E passeggiando tra i resti si notano affreschi colorati d’ogni tipo, dai più semplici ai più particolari. Si tratta di un’area interessantissima dal

    La necropoli di San Paolo

    punto di vista archeologico, forse una delle meglio conservate in tutta Roma.
    Dietro le grate emergono una gran quantità di loculi, edicolette, sarcofagi e casse. Un percorso accidentato tra spoglie e cinerari di schiavi e liberti. Stanno accanto ai loro gentilizi, con le loro età e mestieri. E invocano i Mani per scongiurare un trapasso funesto. Si affacciano su vicoli e stradine, vantando una certa dignità architettonica ed eleganza. Si tratta, perlopiù di tombe individuali e di corporazioni, le cui epigrafi implorano l’aldilà.

    A nord della necropoli, le tombe più antiche hanno le facciate in tufo accanto a quelle in laterizio di età imperiale. Nel piccolo ambiente sottostante la scala, ecco un pavone e accanto un Ercole nerboruto che riporta Alcesti fuori dalla morsa dell’Ade. Si tratta di un piccolo ambiente dipinto, nascosto nascosto tra le tombe del sottoscala. A pochi passi, si estende un’ampia area sepolcrale in opus reticolatum, tecnica muraria che si presenta in superficie con una disposizione di bozze e mattoni a reticolo in diagonale, dell’inizio dell’Impero.
    Al muro di recinzione sono addossati sepolcri di varia epoca. Quasi tutti – a fossa o terragni – appartenenti a schiavi e liberti, eccetto due a forma di edicola, una in marmo e l’altra in laterizio.
    Dalla parte opposta, due aree rettangolari con le pareti forate da nicchie sono riferibili a colombari. Il primo, vicino all’ingresso, è caratterizzato da un’elegante edicola che, sulla fronte incorniciata di serti di margherite, reca l’immagine di due leonesse che si avventano su una gazzella. Accanto, un piccolo pozzo.
    Alla gens Pontia, I secolo dopo Cristo, appartengono le olle funerarie con le relative iscrizioni.

    La necropoli Ostiense.

    Affacciati al tratto di collegamento con la via Ostiense si trovano altri colombari disposti in sequenza del I secolo dopo Cristo: tra di loro, colpisce quello di Livia Nebris, figlia di Marco, qui sepolta insieme con gli altri membri della famiglia. A fianco, una stanza trapezoidale è circondata da sepolcri a fossa, identificata come sede della famiglia che aveva costruito quei sepolcri per i propri congiunti.
    Purtroppo poco visibili i resti di riquadri pittorici con figurine volanti – grifi, pegasi e un’aquila – che si librano in fondali bianchi.

    Roma, 16 novembre 2018.

  4. Chiesa di San Giovanni a Porta Latina, la pittura medievale romana e la memoria dell’apostolo Giovanni

    Atmosfera rarefatta, verde diffuso, silenzio. Via di Porta Latina è tutto questo: un’area di Roma incantata, salvaguardata dalle costruzioni che invece sono cresciute

    San Giovanni a Porta Latina in una foto di fine Ottocento. Si ringrazia RomaSparita.

    al di là delle mura Aureliane, che in questo tratto – tra le porte Metronia, Latina e San Sebastiano – si sono conservate splendidamente.
    L’antica porta che dà il nome alla strada fu ristrutturata dall’imperatore Onorio, 384-423, ampliando quella originaria di Aureliano. Nell’elemento centrale dell’arco esterno si nota il monogramma di Cristo. In quello dell’arco esterno, la croce greca inscritta in un cerchio. Siamo in un’area di grande fascino, a due passi dal Sepolcro degli Scipioni, dalla Casa del Cardinal Bessarione e dal colombario di Pomponio Hylas.
    Appena oltrepassata Porta Latina, si erge, un elegante tempietto ottagonale isolato: è l’Oratorio di San Giovanni in Oleo, eretto dal prelato francese Beniamino Adam, auditore della Sacra Rota per la Francia al tempo di Giulio II, 1509, restaurato sotto Alessandro VII per cura del cardinale Francesco Paulucci, 1658, e sotto Clemente XI,1716. Sorge sul luogo ove, secondo tradizione, l’evangelista Giovanni uscisse illeso dal supplizio dell’olio bollente, il che gli valse salva la vita con l’esilio a Patmos. Una notizia trasmessa da Tertulliano, dice:
    «Quando gli apostoli dopo la Pentecoste si separarono, lui [Giovanni Evangelista] andò in Asia, dove fondò molte chiese. Quando l’imperatore Domiziano venne a conoscenza della sua fama, lo fece venire a Roma e lo fece buttare in un recipiente di olio bollente, immediatamente davanti alla porta Latina: ma Giovanni ne uscì illeso, come era rimasto estraneo alla corruzione della carne. L’imperatore, visto che anche così non desisteva dalla predicazione, lo mandò in esilio nell’isola di Patmos dove nella completa solitudine scrisse l’Apocalisse».

    San Giovanni a Porta Latina. Interno.

    L’attuale costruzione, rifatta sull’antica, è ritenuta di Bramante, ma l’elegante coronamento, con decorazione classicheggiante, e la sistemazione dell’interno è di Borromini. Sopra la porta che guarda verso Porta Latina è inserito emblema araldico di Alessandro VII Chigi; la porta del lato opposto reca lo stemma del prelato francese, col motto: AU PLAISIR DE DIEU, 1509.
    Di fronte, al di là del muro del Collegio Missionario dei padri Rosminiani, ecco un grosso nucleo di sepolcro antico. Dietro il collegio sorge, preceduta da un pittoresco e raccolto sagrato ombreggiato da un grande cedro e con un pozzo medievale tra due colonne, l’antica chiesa di San Giovanni a Porta Latina fondata da Gelasio I nel V secolo: la tradizione trova conferma nelle tegole del vecchio tetto, che portano stampigli dell’epoca di Teodorico, 495-526.
    Riedificata da Adriano I nel 772, fu restaurata nel 1191, anno in cui, sotto Celestino III, furono traslate qui le reliquie dei Ss. Gordiano ed Epimaco. Dei tempi di Adriano I è il parapetto esterno del pozzo che si trova nel sagrato, ornato di una rozza decorazione formata da due serie di infiorescenze che corrono orizzontalmente per tutto il corpo del pozzo. Sull’orlo, tutto intorno, appare un’iscrizione latina, certamente di epoca posteriore all’VIII secolo, che recita: «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». E le parole del profeta Isaia: «O voi tutti che avete sete venite alle acque». E contrassegnata dal nome dell’incisore: «Io Stefano».
    Originariamente la chiesa era tenuta da una congregazione spirituale dedita alla povertà ma nel tempo passò sotto diverse amministrazioni. Nei primi anni del Novecento, quando veniva amministrata dalle suore di clausura, le Suore Turchine della Ss. Annunziata, furono rinvenuti affreschi medioevali che diedero l’impulso ad un’opera generale di ripulitura.

    San Giovanni aPorta Latina, oggi.

    Un restauro fortemente voluto negli anni Quaranta dai Missionari Rosminiani, che hanno tuttora in carico sia la chiesa che il tempietto, ha ridato alla chiesa il suggestivo aspetto medioevale. Sul fronte, un portico a cinque arcate su antiche colonne marmoree e di granito con capitelli ionici, è addossato alla facciata, su cui, in alto si aprono tre finestre ad arco; incluso nel portico, a sinistra, si alza lo slanciato campanile romanico a sei piani con trifore. Sotto il portico e nell’interno del campanile, sono esposti lapidi e frammenti romani, lastre paleocristiane di recinto presbiteriale e resti di affreschi medioevali.
    L’interno conserva la semplice ed antica armonia di forme originaria, diviso in tre navate da due file di cinque colonne ciascuna di marmo diverso, sulle quali poggiano archi semicircolari. Intorno all’altare sono conservati avanzi di un pavimento cosmatesco a disegno geometrico mentre nella predella dell’altare stesso spicca in lettere capitali romane l’antico “titolo” della Chiesa, ritrovato durante gli ultimi restauri: “TIT. S.IOANNIS ANTE PORTAM LA(TINAM)”.
    Il ciclo di affreschi del XII secolo che decorano la navata centrale, rinvenuti durante il restauro del 1940, rappresentano 46 differenti scene del Vecchio e del Nuovo Testamento e rivestono una straordinaria importanza per lo studio dell’arte medioevale a Roma. Insieme con il salone gotico nel Monastero dei Santi Quattro Coronati, il ciclo di San Giovanni a Porta latina rappresenta uno degli esempi maggiori di pittura medievale a Roma, realizzati precedentemente all’importante periodo del Cavallini e della sua Scuola Romana.
    Al centro dell’arco trionfale è raffigurato il Libro dei Sette Sigilli, indice dei segreti nascosti di Dio, che doveva essere sorretto da una cattedra sormontata da croce gemmata; ai lati, due angeli in atteggiamento riverente e, dietro di essi, i simboli dei quattro Evangelisti. Sui peducci dell’arco sono dipinte due figure santi, identificate con Giovanni Evangelista, a destra, e Giovanni Battista. Il personaggio sulla destra sorregge un volume con l’iscrizione in principio erat Verbum, l’incipit del Vangelo di Giovanni. In alto corre una greca multicolore e prospettica interrotta da riquadri, nei quali si affacciano busti di angeli dalle mani velate. Una ghirlanda avvolta da un nastro chiude verticalmente i lati corti dell’arco. Le pareti laterali del presbiterio

    La creazione della donna – San Giovanni a Porta Latina.

    ospitano i ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse, genuflessi in direzione dell’abside e disposti su due file di sei. Tutti reggono corone gemmate sulle mani velate. In basso quattro edicole, estremamente lacunose, inquadravano gli Evangelisti. Di esse rimangono solamente i tituli e i simboli inseriti in timpani. Le iscrizioni consentono l’identificazione di Marco e Matteo a sinistra e di Luca e Giovanni a destra. I lati corti sono bordati dallo stesso motivo decorativo dell’arco absidale, mentre il fregio che in alto delimita la decorazione, è costituito da mensoloni abitati da elementi zoomorfi, fitomorfi e da esseri mostruosi. L’iconografia delle pitture dell’arco e del presbiterio è basata sull’Apocalisse (4-5), i cui prototipi figurativi sono da riconoscere nella pittura romana di V-VI secolo.
    A Porta Latina, la traduzione figurata del tema è però caratterizzata da una contaminazione tra fonti diverse, rintracciabili non solo in esempi di pittura monumentale paleocristiana, ma anche nella produzione miniata di VI-X secolo. Inoltre, l’ipotesi di Richard Krautheimer, che vuole la chiesa fondata nel V-VI secolo, e la notizia di un suo rifacimento nell’VIII, inducono a ritenere che i soggetti apocalittici dell’Adorazione dei Viventi e dei Vegliardi, dei due Giovanni e degli Evangelisti, fossero già stati illustrati sulle pareti del presbiterio prima del XII secolo. Del tutto innovativa è la presenza degli evangelisti nelle pareti del presbiterio, in prossimità dell’altare. Lungo le pareti della navata centrale le scene vetero e neotestamentarie si succedono con un andamento anulare che consente una lettura continua dei cicli scena dopo scena, senza ‘percorsi ciechi’ che obblighino a ritornare, passando da un registro all’altro, al punto di partenza. La sequenza delle scene della Genesi ha inizio sulla parete destra con la Creazione del Mondo, e

    Abele e Caino – San Giovanni a Porta Latina.

    prosegue – dall’abside verso la controfacciata – con le Storie dei Progenitori, di Caino e Abele, di Noè, di Abramo e di Giacobbe, per terminare con il Sogno di Giuseppe. Il ciclo continua sulla controfacciata e, successivamente, sulla parete sinistra fino all’abside.
    Il programma neotestamentario segue lo stesso percorso, ma si sviluppa lungo i due registri inferiori delle pareti della navata centrale senza interessare la controfacciata. Comprendeva originariamente 30 scene a partire dall’Annunciazione per concludersi con l’Apparizione sul lago di Tiberiade. Dal momento che il ciclo delle storie veterotestamentarie scorre parallelo a quello delle storie neotestamentarie che occupa i due registri più bassi, vengono a crearsi degli accoppiamenti che non sembrano affatto casuali. Emblematico è quello tra la scena della Cacciata dal Paradiso e la Crocefissione correlate dal titulus che corre al di sotto dell’episodio veterotestamentario e al di sopra di quello neotestamentario: «Inmortalem decus per lignum perdidit hoc lignum». Dove la perdita dello splendore del Paradiso, la parola “decus”, splendore, sottintende “coeli”, a causa del legno dell’albero della Conoscenza verrebbe riscattata dal legno salvifico della croce.
    Il primo registro della controfacciata ospita le seguenti scene veterotestamentarie: Il Lavoro dei Progenitori, Il sacrificio di Caino e Abele, l’Uccisione di Abele, La condanna di Caino. Nel registro inferiore, separata dalle sovrastanti scene bibliche da una larga cornice a fasce ondulate, è una versione abbreviata del Giudizio con Cristo Giudice tra gli angeli. Ai lati del Salvatore, assiso entro un clipeo, stanno gli arcangeli con globo e cartigli, sui quali gli storici dell’arte leggono versi rivolti ai beati e ai dannati, rispettivamente “Venite benedicti fratres” e “Ite maledicti”. Due angeli per parte chiudono il registro. In basso, sotto i piedi del Cristo, è posto un altare con gli Strumenti della Passione. Nel catino absidale si trova un affresco realizzato nel 1715 da Antonio Rapreti sulla base di cartoni preparatori lasciati dal cavalier d’Arpino. L’affresco – che raffigura San Giovanni trascinato in giudizio dinanzi all’imperatore Domiziano – è stato riportato alla luce soltanto nel 2007 giacchè era stato ricoperto per proteggerlo dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale e se ne era persa la memoria.

    San Giovanni a Porta Latina – Adamo ed Eva.

    Il portico medioevale e le navate della basilica sono sostenuti da colonne di spoglio appartenenti, probabilmente, ad un tempio di Diana, parzialmente spogliate a favore del Laterano alla fine del 1700.
    Al bel sito è legato un episodio dell’ Inquisizione:  varie notizie riportano la storia di un gruppo di portoghesi che verso il 1578 aveva fondato una sorta di confraternita, e usava questa chiesa – all’epoca in stato di quasi abbandono, con il titolo lungamente vacante, per essere stata praticamente espropriata del proprio patrimonio dall’arcibasilica di San Giovanni in Laterano – per celebrare i propri riti. Secondo una versione si trattava di marrani rifugiati in Italia. Quel che è certo è che per questa storia furono eseguite, a Porta Latina, non meno di sette condanne a morte per rogo. Così riportano Ludwig von Pastor, nella Storia dei Papi e Michel de Montaigne nel suo Journal de Voyage en Italie par la Suisse et l’Allemagne (en 1580 et 1581).

     

    Roma, 28 ottobre 2018