Il bello dell’architettura

L’architettura tra funzionale, bello, utile e visione. Dalle piramidi al bosco verticale ce lo racconta Federico Cellini, architetto.

Una “passeggiata” commentata nel tempo e nello spazio alla ricerca di motivazioni estetiche. Un’arte difficile quella dell’Architettura, in cui “Bello” e “Brutto” si intrecciano a funzioni destinate a tutti. Diventando di volta in volta luogo delle meraviglie o “ecomostro”.
Da che la storia è tale, gli architetti hanno cercato di ottenere la perfezione dandosi delle regole spesso con la presunzione di renderle assolute, legandole a variabili indipendenti: la geometria, gli elementi costruttivi, la tecnica, i materiali, il colore e poi ancora la tradizione, la religione, il potere, l’universo e il corpo umano. Da Vitruvio a Le Corbusier passando attraverso Leon Battista Alberti e Palladio, il successo di un’opera architettonica, in quanto artistica, ha una componente irrazionale che investe non solo il gusto e la cultura dell’osservatore, pittura e scultura, o l’attitudine all’armonia sonora dell’ascoltatore, musica, ma anche la corretta risposta alla destinazione d’uso. La soddisfazione come opera d’arte non necessariamente è di chi osserva l’edificio ma anche di chi usufruisce dei suoi spazi e del committente, sovente non riuniti in una unica entità. Mostrare al mondo il proprio successo era imperativo per la famiglia Rucellai commissionando il palazzo fiorentino all’Alberti. Come pure cinquecento anni dopo farà il regime del Ventennio obbligando spesso con scarso successo ad architetti recalcitranti il linguaggio aulico dell’impero. L’evoluzione tecnica ha permesso soprattutto negli ultimi centocinquanta anni di rispondere ad esigenze nuove: l’automobile, con spazi e servizi a essa connessi, ha portato a nuove forme. Ad esempio, il raggio di sterzata ha dato spunto a Le Corbusier per modellare la pianta di Villa Savoy. La struttura a telaio, grazie al calcestruzzo armato e

Palazzo Ruccellai – Leon Battista Alberti – Firenze.

all’acciaio, ha svincolato le piante dagli alzati e le facciate dalle aperture. Permettendo aggetti, curve e superfici vetrate; lo sviluppo economico che ha permesso l’ingresso del televisore in ogni casa ne ha determinato una nuova distribuzione funzionale diventando, il video, il moderno caminetto attorno al quale ruotano stanze da letto di dimensioni essenziali. Le superfici ad armadio sono decuplicate in cento anni e oramai si è arrivati al rapporto “uno” tra stanze da letto e bagni; la telematica sta portando alla creazione di postazioni lavoro domestiche mentre i costi dei terreni, anche in termini ecologici, saranno tali che si dovranno pensare case con vani “multifunzione”. Le Architetture fantastiche dei collages di Archigram saranno da rivalutare all’interno di città semoventi…. Oppure, gli architetti cercheranno di inserirsi – se non addirittura sovrapporsi – a un tessuto edilizio esistente in cui la funzione nuova sarà sviluppata in linguaggi tradizionali. Dove le forme saranno riconoscibili in quanto frutto di evoluzioni “dialettali”. Nel momento in cui si cala un’opera architettonica in un contesto, si agisce su una scala maggiore dell’edificio stesso, come un sasso in uno stagno e la scelta è sempre tra il “piegarsi” o il “piegare”: come Antonio da Sangallo il Giovane fa il vuoto attorno a Palazzo Farnese creando una piazza ad esaltazione de “il dado”, così

Villa Savoy – Le Corbusier.

soprannominato dai romani. Pressochè in contemporanea, Baldassarre Peruzzi modella la facciata di Palazzo Massimo alle Colonne su una curva creando un prospetto dinamico e modernissimo. Il movimento, la velocità, il rapporto tra spazio tempo non è solo appannaggio della relatività einsteiniana o dei futuristi ma è pane che quotidianamente mangiamo e che gioco forza ci porterà a rivedere concetti estetici. I cui semi, gettati dai Maestri dell’Architettura, stanno già germogliando.

Roma, 2 febbraio 2019


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