Racconto

La salamandra di San Luigi dei Francesi

Alfredo Cattabiani

In occasione della passeggiata serale dedicata al bestiario delle meraviglie, ovvero un racconto in cammino che comprende alcuni degli animali di pietra che vivono nelle strade e nelle piazze della città di Roma, pubblichiamo questo scritto tratto dal

Nutrisco et extinguo – San Luigi de’ Francesi.

volume di Alfredo Cattabiani “Simboli, miti e misteri di Roma” edito da Newton Compton.
Sulla facciata di San Luigi dei Francesi due enormi salamandre, scolpite nel XVI secolo da Jean de Chenevières, eruttano lingue di fuoco. La prima, sulla sinistra, è accompagnata dal motto: «Nutrisco et extinguo», nutro e spengo; l’altra, sulla destra, da «Erit christianorum lumen in igne», sarà la luce dei cristiani nel fuoco.
Sono imprese di Francesco I ovvero, come spiegava il Contile (Luca Contile, Cetona, 1505 – Pavia, 28 ottobre 1574 è stato un letterato, commediografo, poeta, storico, diplomatico e poligrafo italiano, ndr) componimenti di «figura e motto, rappresentando vertuoso e magnanimo disegno».


Il sovrano francese si era ispirato a una credenza, diffusa tra molti naturalisti antichi, che la salamandra fosse capace di sopravvivere tra le fiamme e addirittura di spegnere il fuoco. «La possibilità di non bruciare che hanno certi animali per costituzione», scriveva Aristotele nella Storia degli animali «è dimostrata dalla salamandra; poiché questa, si dice, cammina attraverso il fuoco spegnendolo al suo passaggio». E il naturalista palestinese Timoteo di Gaza, discepolo del leggendario Horapollo (Horapollo, Nilopoli, 450 circa – dopo il 490) è stato uno scrittore egiziano che scrisse un’opera in greco ellenistico in Hieroglyphiká, una spiegazione di quasi 200 segni in chiave simbolico-ermetica, risalente, oggi si pensa, intorno alla fine del secolo IV dopo Cristo e divisa in due libri, il primo dei quali contiene 70 geroglifici, il secondo 119), precisava che non soltanto essa si nutriva di fuoco sino a spegnerlo, ma lo emetteva dalle narici. Ma vi era chi, come Teofrasto di Efeso, discepolo e successore di Aristotele alla scuola Peripatetica, che negava nel De igne che

Erit christianorum lumen in igne – San Luigi de’ Francesi.

l’animale potesse sfidare le fiamme; opinione condivisa da Dioscoride (Anazarbe, 40circa – 90circa) è stato un medico, botanico e farmacista greco che esercitò a Roma ai tempi dell’imperatore Nerone), il quale tuttavia affermava nella “Materia medica” che «le facoltà sue sono di mangiare, scaldare e ulcerare la carne. Mettesi nelle medicine ulcerative, e in quelle della lebbra, come vi si mettono le cantarelle (variante dell’arsenico)».
Talvolta fra i naturalisti antichi le proprietà reali di un animale venivano amplificate fino ad assumere una dimensione fantastica: così è avvenuto a questo tipo di anfibio lacertiforme dal corpo tozzo e dall’andatura impacciata e oscillante. Spiegano gli zoologi che la sua pelle si mantiene umida grazie alla secrezione delle ghiandole mucose, sicchè la livrea, nera a macchie gialle o arancioni (c’è tuttavia una salamandra alpina completamente nera), è sempre brillante. Ma l’animaletto è fornito anche di numerose ghiandole velenifere che di fronte a un pericolo o a un’aggressione emettono un liquido denso e di colore biancastro che contiene alcaloidi come la samandarina e la samandarinina, capaci di agire sul sistema nervoso di chi la assimila, provocando convulsioni, paralisi ed emolisi. Se un gatto inghiottisse imprudentemente una salamandra, potrebbe morire per paralisi respiratoria. Ad un uomo che la toccasse potrebbe invece provocare una momentanea irritazione cutanea asettica. Quelle abbondanti secrezioni permettono all’animaletto di sopravvivere alle fiamme per qualche secondo, per il tempo necessario a sgusciare da un vecchio tronco dove esso ama nascondersi. E forse tanti millenni fa, dai legni gettati sulle fiamme di un rogo o colpiti da un incendio qualche salamandra uscì indenne suscitando la credenza nella sua incombustibilità e nella capacità di cibarsi del fuoco e di eruttarlo. «Certi egizi» scriveva Pietro Valeriano (Belluno, 1477 – Padova 1558 è stato un  un umanista, teologo e scrittore italiano) negli Hieroglyfica «intendendo disegnare un uomo nel bel mezzo delle fiamme e per nulla offeso, solevano dipingere una salamandra poiché era noto che questa poteva attraversare incolume i carboni accesi».
Dalla leggendaria familiarità con le fiamme è nata la salamandra simbolo

Salamandra – Fisiologo di Berna.

dell’elemento igneo, come il camaleonte lo è dell’aria, la talpa della terra e l’aringa dell’acqua. Evocato il fuoco, ne sarebbe derivata una cascata di emblemi, come testimonia il primo bestiario cristiano, Il Fisiologo, compilato da un anonimo teologo alessandrino fra il II e il IV secolo che, citando il versetto di Isaia, «Anche se cammini in mezzo al fuoco, la fiamma non ti brucerà», tracciava l’immagine del virtuoso. A sua volta lo Zohar ebraico spiegava che l’uomo interiore si purifica simbolicamente nel fuoco della fede come la salamandra si lava tra le fiamme; fuoco alchemico grazie al quale si compiono la purificazione e l’albificazione, non ignote a Cecco d’Ascoli che ermeticamente cantava: «La salamandra nello fuoco vive/ E l’altro cibo la sua vita sprezza:/ Non sono in lei potenzie passive/ Ardendo si rinnova sua coverta».
Queste credenze furono adottate dai bestiari medievali che evocarono dall’animale sia il simbolo dell’uomo che vive santamente e spegne in sé il fuoco della lussuria e delle passioni sia quello dell’anima che si purifica e si rigenera nella luce e nel fuoco divini.
Più tardi, nel XVII secolo, l’abbé de Villars che, dopo aver dato alle stampe un testo ermetico in forma dialogica, Le Comte de Gabalis ou Entretiens sur les Sciences secrètes, morì assassinato per aver – si diceva – divulgato quello che non era lecito divulgare, aveva addirittura evocato un mitico Impero delle Salamandre, «popolo igneo della regione del fuoco» che serve i Filosofi, ovvero gli amanti della Conoscenza. Per ristabilire l’Impero delle Salamandre faceva dire a uno dei suoi personaggi dialoganti «… occorre purificare ed esaltare l’Elemento fuoco che sta in noi, ed alzare il tono delle nostre corde allentate».

Salamandra – Kongelige Bibliotek.

Si giunse persino a trarre dalla salamandra l’icona di Cristo che, secondo il Vangelo di Luca, disse «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra», così come il mitico anfibio che erutta fiamme. Fiamme benefiche per i buoni e castigatrici per i malvagi, come narra una leggenda asiatica secondo la quale la salamandra, emblema della Giustizia, alimenta il fuoco benefico mentre spegne quello nocivo, per esempio un incendio incipiente.
Dal simbolismo cristiano Francesco I ricavò, su consiglio di Artus Goffier, duca di Roannais, le sue imprese di cui la prima, «Sarà la luce dei cristiani nel fuoco», spiegava senz’ombra di ironia che il sovrano francese rifletteva nella vita temporale la luce divina, mentre la seconda, «Nutro ed estinguo», proclamava che egli, giudice imparziale a imitazione di Cristo, avrebbe sostenuto gli innocenti e castigato i colpevoli.
Ma questo animaletto non ha evocato soltanto il simbolo di Cristo e gli emblemi della purezza, dell’integrità e della giustizia. La velenosità delle sue secrezioni ghiandolari che, secondo un’antica credenza, contaminavano i frutti degli alberi, ispirò addirittura l’immagine del demonio, come spiegava il Bestiario di Gubbio – ristampato con il Libellus de natura animalium, nel volume Le priorità degli animali (Costa e Nolan 1983) – ammonendo in versi: «La salamandra tanto è velenosa/ che li poma de li alberi invenena…/ La dura salamandra vitiosa/ è lo nemico ke a morire ne mena la creatura…».

Salamandra – dal Bestiario di Aberdeen – 1200.

Il Bestiario tosco-veneziano, ispirandosi invece alla credenza secondo la quale la salamandra si nutriva nel fuoco, la trasformava in simbolo ambivalente: da un lato degli uomini che si nutrivano del fuoco divino – «L’una maniera si è de tutti quelli che son infiamadi del spirito santo» –; dall’altro di «tuti queli che sono lusuriosi et arditi di carnali amori». A sua volta sant’Agostino aveva evocato, molti secoli prima, addirittura il corpo del dannato che brucia nelle fiamme dell’inferno senza consumarsi.
Accanto alle salamandre religiose e politiche sono apparse a partire dal XII secolo anche le salamandre sentimentali, come quelle che popolano i bestiari d’amore, simboli degli amanti che si alimentano del fuoco della passione. Cantava Pierre de Ronsand: «Io son la salamandra e non sono a mio agio/ Se il mio cuore non è sempre fra la brace:/ Il foco dei vostri begli occhi sol mi piace/ E il mio cor bruciando se ne nutre e pasce».
Non diversamente scriveva Gaspara Stampa: «Amor m’ha fatta tal ch’io vivo in foco/ Qual nova salamandra al mondo…».
Qualche lettore sorriderà leggendo le mirabolanti metamorfosi simboliche di un animaletto tanto modesto. Ma ogni essere contiene in sé una parte del cosmo – l’uomo, microcosmo, tutto – e può dunque diventare l’occasione per riflessioni religiose e morali. «Datemi una salamandra e vi parlerò del mondo» disse giustamente nel 1638 a un suo discepolo Johan Paul Wurffbain, direttore dell’Accademia Naturae Curiosorum di Norimberga, autore della Salamadrologia, il primo trattato sull’anfibio lacertiforme dove si affermava che le fibre dell’amianto si ricavavano dalla sua pelle.

Roma, 16 luglio 2018


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