Il brano che presentiamo è tratto da Il bazar di un poeta, pubblicato da Hans Christian Andersen nel 1842. Il bazar di un poeta raccoglie le
impressioni e gli appunti di viaggio che lo scrittore di fiabe svolse per 9 mesi tra Germania, Italia, Grecia e Oriente, tra il 1833 e il 1834. L’opera è divisa in 6 capitoli e di questi uno è interamente dedicato all’Italia. Vi si trovano, descrizioni, appunti e schizzi su Roma, Napoli, Bologna, la Sicilia e anche descrizioni dell’attraversamento degli Appennini.
“Le antiche divinità vivono ancora!” – si, in una fiaba possiamo anche dirlo, ma nella realtà? Eppure la realtà è spesso una fiaba.
Il fanciullo che legge Le mille e una notte, vede nella sua immaginazione meravigliosi palazzi fatati che lo rendono felice, ma capita sempre qualcuno più vecchio di lui che gli dice: “simili cose non si trovano nella realtà” e invece si, qui a Roma si trovano e come! Per la loro grandiosità e magnificenza, il Vaticano e la basilica di San Pietro appaiono come visioni davvero irreali, simili ai castelli eretti dalla fantasia nell’antico libro d’oriente. Siamo andati a vederli per verificare di persona se le antiche divinità vivono ancora.
Ci troviamo sulla piazza di san Pietro; a destra e a sinistra abbiamo tre serie di colonne, la chiesa che ci sta davanti è sotto ogni riguardo talmente grandiosa che a noi manca un metro adeguato per misurarla.
Essa armonizza così perfettamente con la piazza e col possente Palazzo del Vaticano alla sua destra, che non possiamo fare altro che affermare: si, è veramente un grande edificio di tre piani! Ma poi osserviamo la folla che avanza come la marea su per la gradinata – larga, questa, come l’intera base dell’edificio – ed ecco che, non appena l’occhio ha colto le proporzioni delle finestre e delle porte, tutti quegli esseri umani ci appaiono, al confronto, come dei puntini, come dei pupazzetti. Ecco, ora ne costatiamo la grandiosità, ma non possiamo ancora afferrarla pienamente.
Al centro della piazza si erge un obelisco; alla sua destra e alla sua sinistra ci sono sue fontane che in rapporto a tutto ciò che le circonda sembrano di proporzioni normali, ma se le osserviamo avulse da tutto il resto, ci
rendiamo conto che sono gigantesche. Si racconta che un principe straniero, alla visione della possente massa d’acqua che ne sgorgava, abbia gridato “ora basta!” ritenendo si trattasse di un gioco spettacolare allestito, ovviamente con grande profusione di mezzi, esclusivamente in suo onore e destinato quindi a durare breve tempo; l’acqua invece continuò tranquillamente a zampillare e ancora oggi zampilla con la stessa abbondanza.
E’ uno spettacolo da contemplare, soprattutto quando i raggi del sole dipingono un arcobaleno sulle gocce che precipitano in basso.
Dalla piazza, procedendo verso destra attraverso un passaggio custodito, si entra nel cortile del Vaticano che per tre lati è circondato da un edificio gigantesco, costruito nello stesso grandioso stile della chiesa di San Pietro e ad essa in siffatto modo giustapposto che né l’uno né l’altro producono quell’effetto di imponenza che, se disposti altrimenti, avrebbero quasi
certamente prodotto sugli spettatori. I giannizzeri in costumi medioevali somigliano ai fanti di picche delle carte da gioco; sono tuti mercenari tedeschi e stanno di guardia sotto le arcate del cortile. Intorno ad ogni piano corre una galleria; in quella del piano superiore le pareti sono ricoperte di carte geografiche dipinte al fresco, così il Papa piò esaminare da vicino i paesi sui quali un tempo regnarono i suoi predecessori. La galleria sottostante è una vera Bibbia illustrata ed è nota come Le stanze di Raffaello; solo negli ultimi anni le aperte arcate sono state chiuse con finestre; i dipinti sono parecchio scoloriti, gli arabeschi corrosi dalle intemperie, in parte addirittura cancellati da mani sconsiderate o scarabocchiati con nomi di viaggiatori dei quali non importa proprio niente a nessuno. La galleria del piano inferiore conduce all’ala del palazzo dove il Papa non abita, ma che contiene i tesori più ricchi e più famosi al mondo.
Sappiamo che il palazzo comprende ventidue cortili e undicimila stanze; già questo ha sapore di favola. Aggirarsi per qualche ora in questi spazi è come vagare dentro un castello incantato. La fantasia più ardita non ha il tempo, qui, di inventarsi alcunché; davanti a questa realtà, di lei ben più ricca e sfrenata, la fantasia non può che ammutolire.
Ma continuiamo il nostro vagabondaggio.
Attraverso una porta munita di inferriate, entriamo in un corridoio così lungo che sfuma nell’azzurro; ovunque al mondo, tranne che qui esso sarebbe considerato un ricchissimo museo; pavimenti e pareti presentano reminiscenze di tempi antichi. Se gettiamo furtivamente un’occhiata al di là di una. Di queste porte, veniamo abbagliati dai colori che risplendono nelle sale che si succedono una dopo l’altra. Soffitti e pareti sono sovraccarichi di dipinti, nessuno dei quali attira in modo particolare l’attenzione, ma nell’insieme producono l’effetto che le figure colorate fanno in un caleidoscopio; ed ecco la biblioteca, ma dove sono i libri? Stanno celati in bassi armadi dipinti di bianco e oro.
Facciamo capolino in un’altra sala: la luce irrompe dal soffitto di vetro, pareti e pavimento sono di lucido marmo, ai due lati stanno allineate statue meravigliose: le diresti appena estratte dai grandi blocchi di marmo e invece più di mille anni sono passati da quando sentirono vibrare su di sé i colpi dello scalpello. Questi tesori vanno contemplati alla luce incerta delle torce, ché allora, il marmo riprende vita, così come a quei mobili bagliori anche i muscoli di pietra sembrano gonfiarsi, le pieghe delle vesti frusciare, i pallidi volti acquistare naturalezza di colore.
Ma torniamo a camminare nel corridoio, saliamo qualche scalino ed ecco apparire davanti ai nostri occhi una fuga di sale con le più fantastiche testimonianze del passato, di stanza in stanza sempre più ricche e straordinarie; come descriverle se già solo a guardarle ci assale la stanchezza? Si, gli dei dell’Olimpo regnano ancora in questi luoghi, le muse sorridono a noi mortali; tutto è bellezza e solennità.
Facciamo un’altra sosta, breve però, e poi concluderemo.
Ci ritroviamo in un cortiletto, il sole del buon Dio manda la ghirlanda del suo arcobaleno sull’alto zampillo d‘acqua che ricade gorgogliando nella vasca. Il cortile è incorniciato da aperte arcate che ospitano meraviglie di fama universale: vediamo Antinoo e l’Apollo del Vaticano; qui Lacoonte piange il suo dolore eterno avviluppato dai serpenti, e qua vediamo, del Canova, il Perseo e i Gladiatori.
Sopraffatti da così sublimi opere d’arte, è un riposo per l’occhio e per la mente affacciarsi a una finestra: la vista che ci consente di riposare spazia su Roma e la Campagna fino alle montagne; ma penetra, anche, dentro piccoli cortili lastricati e su splendidi giardini che nella stagione invernale ostentano il verde più smagliante; i vialetti sono tunnel di alloro, le rose sembrano intenzionate a scavalcare i lunghi ed alti muri, l’acqua gorgoglia e rimbalza spruzzando da grotte e caverne artificiali.
Come non credere di star sognando un’irreale fiaba? E invece no, tutto è reale. Attraverso un vestibolo costruito in stile egiziano e occupato da grandi sarcofagi – ognuno di essi ricavato da un unico, prezioso blocco di pietra – si entra in un….ma no, museo non si può dire perché è troppo piccolo – diciamo allora che si entra in una piramide d’Egitto. Ogni sala è decorata come una delle più grandi e sontuose camere sepolcrali delle piramidi, sulle pareti sono dipinte colonne e piante tropicali, il soffitto
s’inarca come un firmamento, uno stellato firmamento d’Africa del più puro colore ultramarino e cosparso di miriadi di stelle di fulgido oro. Siamo davvero in Africa, all’interno di una piramide; scure e silenziose, ci guardano dalle pareti misteriose divinità. Nelle camere laterali sono allineate le mummie, alcune liberate dai loro sudari, altre completamente avvolte e racchiuse in casse dipinte.
Da informi immagini di pietra, dai colori troppo vivi che offendono la vista, passiamo ora alle opere più perfette di cui l’arte si vanta: si tratta di una piccola galleria di tesori, scelti tra cento tesori; per arrivarci occorre attraversare molte sale, alcune adorne di variopinti Gobelins tessuti su disegno di Raffaello, altre di carte geografiche e piante di città dipinte al fresco! Si direbbe che in questo immenso Vaticano, ogni sala voglia sopraffare l’altra, sia coi suoi tesori d’arte, sia con peculiarità del tutto straordinarie.
Ci troviamo tra immortali dipinti! Dove guardare! A quale stanza volgere i nostri passi e a quale parete il nostro sguardo! Là scorgiamo lo Jeronimus morente del Domenichino, là, sopra una nuvola, si libra la Madonna di Foligno di Raffaello, e di qua l’ultima sua opera, la Trasfigurazione e
ancora, opere di Perugino, Giulio Romano, Tiziano, maestri sommi della pittura italiana che ci salutano da queste pareti. Singolare presenza: semplice come un fiorellino di campo spicca, tra nuvole e glorie, un piccolo quadro con animale, di Paul Potter. E’ appeso vicino alla porta, timido ospite del paradiso dell’arte, modesto, ma non indegno del suo posto.
Grandi porte a battenti si aprono davanti a noi, ed eccoci nelle stanze di Raffaello; ci aggiriamo nelle sale che hanno alle pareti le sue figure immortali; che natura, che fantasia e che purezza in ogni dipinto!
E cosa rimane, dopo questa passeggiata in mezzo a tanta bellezza, cosa rimane dell’opera dell’uomo, che possa ancora sorprenderci per ricchezza e splendore? Attraversiamo due saloni, per grandi porte si accede a quelle che potremmo chiamare nobili chiese, ma che in realtà sono semplici cappelle; esse risplendono di luce e di immagini dipinte, ma noi passiamo oltre, solleviamo un pesante tendaggio e ci troviamo nella chiesa di San Pietro! Tutto è marmo, tutto è oro e mosaico nella chiesa più grande del mondo.
“Si, è grande, ma me l’aspettavo ancora più grande!” vien fatto di dire appena entrati. Accade, qui, come quando si è in mezzo alla natura: lo spazio è troppo grande perché l’occhio possa misurarlo. Le proporzioni sono troppo gigantesche, bisogna prima camminare da una parte all’altra della chiesa, bisogna osservare come la massa della gente – quella massa che prima sembrava occupare l’intera piazza – si muove ora all’interno, bisogna avvicinarsi alla colomba di marmo che, vista dal punto in cui siamo, sembra librarsi all’altezza del nostro occhio, per poi constatare che occorre alzare la mano per poterla toccare.
Gli angeli in mosaico della cupola appaiono insignificanti, ma se saliamo, scopriamo che misurano in altezza parecchie braccia, e se di lassù guardiamo in basso, la croce dell’altare che appare lontana sotto i nostri occhi, raggiunge in realtà l’altezza dei grandi palazzi romani.
Bisogna salire sul tetto piatto della chiesa; quando siamo lassù sembra di essere su una piazza di mercato; le diverse cupole sembrano cappelle e la cupola maggiore un’immensa chiesa. Sparse per il tetto ci sono piccole case per gli operai addetti ai lavori; ci sono forni e fosse per la calce; è una vera e propria piccola città! Vispi bambini giocano nel vasto spazio libero e si arrampicano sull’alto parapetto in muratura per contemplare Roma e la Campagna fino al mare e ai monti.
Bisogna vedere la chiesa di San Pietro nella Settimana Santa, sia di sera che alla luce del sole! E quel che la gente chiama “illuminazione della cupola” appare davvero come una visione magica perché non è soltanto la cupola e l’alta croce che la sovrasta a risplendere della luce delle lampade, ma è tutta l’immensa costruzione e i triplici colonnati intorno alla piazza a splendere. Ogni cosa appare ornata di fuoco; le lampade sono distribuite a profusione e disposte in modo da porre bene in risalto ogni elemento architettonico. Fa grande impressione, in una sera come questa, passare dalla piazza illuminata all’interno della chiesa dove tutto è buio e calmo; tuttavia, presso l’altare maggiore, proprio sotto la cupola, brilla
un’aureola di varie centinaia di lampade d’argento, disposte sulla balaustra ce cinge la romba di San Pietro; ci avviciniamo e guardiamo in basso, nella cappella che riluce d’oro e d’argento e dove la statua in marmo di un papa inginocchiato devotamente prega; regna una tale pace, così profondo raccoglimento nella quiete della chiesa e nel volto del vecchio papa, che anche noi ne siamo invasi, come i praticanti cattolici, sentiamo il desiderio di inginocchiaci davanti al Dio invisibile.
Bisogna camminare in questo tempio divino in pieno girono, quando non c’è nessuno e si odono belle voci cantare nelle cappelle laterali; bisogna venir qui nei giorni delle feste solenni; la musica risuona allora con fragore, l’incenso spande il suo profumo, migliaia di persone si inginocchiano tutte nello stesso istante a ricevere la benedizione di un vecchio uomo! Ogni cosa allora risplende di luce, tutto risplende di oro e di colori! I più famosi dipinti che abbiamo incontrato nei palazzi di Roma stanno anche qui, ma riprodotti in mosaico, e rifulgono come pale d’altare. Ma c’è un altare che non presenta alcuna immagine: due stanze gigantesche ornate di paramenti pontificali sostengono un trono su cui nessuno, tranne Dio invisibile, è seduto. Possenti statue di marmo emergono in forte risalto dalle pareti lucenti.
Ma cosa significa quella scura statua di bronzo sotto un trono che splende di porpora e oro? Due guardie pontificie le stanno di guardia ai due lati; i fedeli baciano il piede della figura di bronzo. Rappresenta San Pietro, ma una volta si chiamava Jupiter; il fulmine gli è stato tolto dalla mano che ora stringe le chiavi. A Roma le antiche divinità vivono ancora! Lo straniero si inchina davanti a loro nei musei, il popolo ne bacia il piede in chiesa. Si, le antiche divinità vivono ancora.
Questo è l’inizio e la fine della fiaba.
Roma, 24 aprile 2019
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