Santa Maria in Cosmedin, la Schola graeca e i cattolici greci di rito bizantino

La Bocca della Verità – Santa Maria in Cosmedin.

Un’antica e grossolana scultura – probabilmente un chiusino che convogliava le acque piovane alla cloaca – è assurto, col favore della fantasia popolare, a toponimo di un ambiente che ha ben altri titoli di gloria da vantare. Vale a dire il centro della zona mercantile dell’antica Roma fra il porto fluviale dei tempi più lontani e l’Emporio della fine della Repubblica e dei primi tempi dell’Impero.
Qui si ergono templi importanti e pubblici uffici: il luogo che fu del Foro Olitorio, mercato delle verdure, e il Foro Boario, mercato del bestiame. Banchieri e cambiavalute svolgevano la loro attività nel Velabro, dove ancora si può ammirare l’Arco degli Argentari.
Caduto l’impero ed entrata l’Urbe nella fase di influenza bizantina, fu questo il centro della colonia greca, con una fiorente cultura che si manifestò soprattutto nelle arti decorative: la cosiddetta Schola Graeca. Non solo: fiorirono una serie di diaconie, veri e propri centri di assistenza ai poveri, sorte sull’esempio di quelle della Chiesa in oriente. Col passare del tempo, accanto o al di sopra delle diaconie, furono innalzate chiese intitolate a santi orientali: San Teodoro, San Giorgio al Velabro, San Nicola in Carcere, Sant’Anastasia, e Santa Maria in Cosmedin, basilica importantissima, conosciuta purtroppo per la cosiddetta Bocca della Verità, vale a dire il chiusino di cui sopra. Migliaia di turisti ogni giorno si sottopongono a file chilometriche per scattare foto davanti alla

Navata – Santa Maria in Cosmedin.

minacciosa Bocca che si trova nel portico. Quasi nessuno entra nella bellissima chiesa officiata ancora oggi col rito cattolico greco-melchita a testimonianza delle antiche origini orientali dell’area.
Chi sono i Melkiti? Il termine deriva dal siriaco malka, ovvero re, sovrano. Con questo termine si intende definire il complesso dei cristiani dei patriarcati di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, i quali accettarono il concilio di Calcedonia e, di conseguenza, le direttive ufficiali della corte di Costantinopoli. I Melkiti seppero sempre garantire la sopravvivenza di Chiese proprie, seguirono i loro riti tradizionali fino al XII-XIII secolo, quando, per effetto del plurisecolare vincolo con la chiesa bizantina, finirono per mutarne il rito: come lingua liturgica mantennero, comunque, l’arabo ormai corrente nella popolazione. A differenza della gerarchia rimasta nel corso del tempo prevalentemente ellenofona. Ad Alessandria e a Gerusalemme ancora oggi i patriarchi sono greci. Nel corso dei secoli, una parte dei Melkiti si mosse verso l’unione con la chiesa cattolica. Un movimento che mosse i primi passi solo a partire dal 1856. Verso il 1880 la presenza cattolica si registrava ormai nella campagna tracia. Fino al 1895, quando si riuscì a istituire a Costantinopoli un seminario e due parrocchie greco-cattoliche. Nel 1911 papa Pio X creò in Turchia un esarcato apostolico per i cattolici di rito bizantino. Nel 1923, Roma provvide a spostare ad Atene l’esarcato apostolico.
Attualmente i cattolici greci di rito bizantino si riducono ad un’esigua minoranza; vivono per lo più concentrati ad Atene e una piccola parrocchia cattolica sopravvive ad Instanbul.

Santa Maria in Cosmedin.

Roma ha Santa Maria in Cosmedin, col suo campanile snello a sette piani di bifore e di trifore che si staglia leggero ed elegante, decorato di maioliche a più colori. È fra i più belli dell’epoca romanica; risale al XII secolo ed è alto 34,20 metri e conserva una campana del 1289.
L’interno si presenta nella forma che assunse nel suo momento di maggior splendore nel XII secolo; infine col suo nome rievoca, come s’è già scritto, un particolare periodo della storia romana, svoltosi sotto un prevalente influsso bizantino, con una consistente colonia orientale che gravitava in questa zona. Questa fu soprattutto importante nei secoli tra il VII e il IX, prima per la decisa prevalenza politica di Bisanzio che aveva i suoi governatori insediati nei palazzi del Palatino, e poi per l’afflusso dei profughi sfuggiti alle persecuzioni iconoclaste. La sponda tiberina corrispondente si chiamò ripa graeca; intitolazioni a santi greci ebbero tutte le chiese dei dintorni e infine questa chiesa derivò il suo nome probabilmente dal celebratissimo monastero di Costantinopoli, detto il cosmidìon.

Pavimento – Santa Maria in Cosmedin.

Santa Maria in Cosmedin ebbe origine da una diaconia, organismo a carattere assistenziale, con la quale la Chiesa, a partire dai secoli VI e VII sostituì gradualmente l’autorità civile sempre più assente. Nel VI secolo, la diaconia si insediò nei locali antichi, che fondatamente si ritiene abbiano ospitato la statio annona, cioè la sovraintendenza dei rifornimenti di viveri alla città, installata nei pressi della zona portuale, i Navalia militari dell’epoca repubblicana, l’Emporium commerciale dell’epoca imperiale. Iscrizioni di carattere annonario ne forniscono la giustificata convinzione.
Questo ambiente che forse si articolava in varie costruzioni, attorno all’Ara Maxima di Ercole, comprendeva una grande loggia, probabilmente per i mercanti, che aveva un andamento trasversale alla chiesa attuale. In un primo momento la chiesa si allogò nell’interno della loggia, utilizzandone trasversalmente solo una parte; quindi nel secolo VIII, papa Adriano I la fece ampliare fino alle proporzioni odierna e con foggia basilicale. Ai primi del XII secolo, all’epoca di Callisto II, un prelato Alfano continuò l’opera di riordinamento che era stata iniziata alla fine dell’XI da papa Gelasio II. La chiesa si presentò con le caratteristiche che vi sono state ripristinate da un restauro del 1893.
All’esterno, un protiro e il portico costruiti da Adriano I e sopraelevati da papa Gelasio. Nel portico, sovrastato da un locale a monofore, si trovano interessanti testimonianze antiche, dalla Bocca della Verità, il famoso chiusino di fogna, all’ornato portale di Giovanni da Venezia del secolo IX, al sepolcro del citato prelato Alfano, che è il prototipo dei successivi monumenti funebri del due-trecento.
L’interno a tre navate, le cui absidi hanno la caratteristica di terminare con bifore, ha al centro, tra due file di colonne e pilastri, una grande aula fino al soffitto a semplici lacunari dipinti. Ai lati della porta principale, come nella sagrestia, si trovano le grandi colonne corinzie della loggia del IV secolo, su cui si inserì la iniziale diaconia. Il pavimento è in opus sectile dei marmorari pre-cosmateschi degli inizi del XII secolo.

Cripta – Santa Maria in Cosmedin.

Lungo le pareti e sull’arcone trionfale si vedono avanzi della decorazione pittorica a strati sovrapposti dei secoli XI e XII. La pergula o iconostasi, con gli amboni e il candelabro, è ricostruita secondo i suggerimenti forniti dagli avanzi antichi. Sul presbiterio è un ciborio gotico del XIII secolo, opera di Deodato, della famiglia dei Cosmati, con archi trilobati e lucenti smalti di mosaico. Anche il pavimento è cosmatesco. Nel fondo, è la cattedra episcopale.
Si accede alla cripta, ricavata dal podio di un tempio antico: ha foggia di piccola basilica con due file di colonnine. È del secolo VIII.
La sagrestia conserva un bel mosaico dell’anno 705, proveniente da un distrutto oratorio che esisteva presso San Pietro: è un frammento di una raffigurazione dell’Epifania.
Da notare anche la seicentesca Cappella del Coto progettata da Carlo Maratta che eseguì anche le quattro statue delle “Virtù”. Vi è venerata una immagine del secolo XIII della Teotokos, o Madre di Dio, simile a quella di Santa Maria del Popolo.

Roma, 14 aprile 2019.


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