Racconti

Splendori e miserie delle cortigiane romane

di Luca Volponi

Luca Volponi ci racconta un mondo femminile poco conosciuto che Leandro Speduti ci aiuterà a conoscere in una delle nostre passeggiate serali di luglio.

Un po’ geishe giapponesi e un po’ etère dell’Antica Grecia. La civiltà delle cortigiane nella Roma rinascimentale e nell’Italia frazionata del tempo, ben descritta dal Cortegiano

Cortegiano - Baldassarre Castiglione

Cortegiano – Baldassarre Castiglione

di Baldassarre Castiglione, meriterebbe un voluminoso trattato di storia del costume e della società del Quattrocento e del Cinquecento.
Donne di umilissime condizioni, spesso figlie di prostitute od orfane che venivano affidate a illustri uomini d’affari o nobili principi della Chiesa affinché si avviassero alla professione, le cortigiane romane, quelle chiamate senza troppe metafore le curiali, dettero vita ad un fenomeno storico di vita e di costume fatto persino di scuole che insegnavano alle giovani fanciulle l’arte di diventare donne ambite e desiderate. Erano colte al punto da saper comporre madrigali o sonetti, recitare e cantare in pubblico, discutere con chiunque di letteratura, di musica e di arti e fare dei propri salotti la fucina delle interminabili discussioni sulle estetiche rinascimentali. Ed erano altresì ricchissime poiché per la loro qualità umana, la loro astuzia e intelligenza si accaparrarono i favori di uomini potenti e abbienti a qualunque consorteria municipale essi appartenessero. Pochi uomini sapevano resistere al loro fascino e alle loro lusinghe.


Nella Roma cattolica e papalina – quella che insigniva per calcolo politico del titolo cardinalizio giovani rampolli di famiglie in vista, tenuti solo a rispettare il celibato e non la castità fino al compimento dei trentasei anni – si svolsero le vite straordinarie di donne che facevano del servizio sessuale come della conversazione raffinata uno strumento precipuo di gestione del potere maschile. Erano le consigliori più ascoltate dalle élites del tempo, le accompagnatrici più ricercate a eventi mondani tanto che sfoggiarne la compagnia dava lustro a chi porgeva loro il braccio. Ed esserne privi costava una poco acconcia accusa di pederastia o peggio ancora di avarizia.  In un lasso di tempo che va tra i primi del Quattrocento e la metà del Cinquecento, complice anche l’istituto del matrimonio politico ed un diritto civile lacunoso e inadeguato sulla famiglia, per una città che contava tra i 50.000 e gli 80.000 abitanti – dei quali la stragrande maggioranza maschi costretti alla solitudine o dai voti ecclesiastici o dalla professione svolta come banchieri, ambasciatori, armatori e soldati che l’esercito pontificio sceglieva rigorosamente celibi – un censimento dell’epoca contava circa 6.800 “peripatetiche” divise tra meretrici da lume o da candela e

Vannozza Cattanei - Innocenzo Francucci

Vannozza Cattanei – Innocenzo Francucci

quelle honeste.  Le prime erano le professioniste che prendevano il nome dalla durata del tempo con il quale si concedevano ai clienti, ossia quello di una candela. Le seconde erano chiamate honeste perché sapevano parlare, comportarsi in società e intrattenere i propri frequentatori, con i quali definivano con un contratto il tempo d’intrattenimento con cifre da capogiro e sontuosi pegni immobiliari.  Si pensi che il rione Ponte, quello non a caso vicino al Vaticano, ospitava dimore principesche, interi palazzi, taverne e negozi di proprietà delle cortigiane più stimate e amate dell’epoca.
Una piazzetta ponticiana, piazza Fiammetta, ancora oggi è intitolata a una delle più belle e sagaci donne che accompagnò uomini del calibro del ricchissimo cardinale Jacopo Ammannati Piccolomini o del duca Valentino. Lei fu Fiammetta Michaelis o de’ Michaelis, al secolo Monna Fiammetta.
Monna Fiammetta quando spirò, lasciò un’ingente eredità al figlio che però non visse molto a causa forse della tisi. Nel testamento la sua volontà postuma fece ereditare al convento della chiesa di sant’Agostino una fortuna pari al prodotto interno lordo di una Signoria italiana di media grandezza.
Sì, perché gli investimenti che Tullia d’Aragona, Giulia Campana, Vannozza Cattanei, Beatrice Ferrarese, Imperia Cognati e Lucrezia Porzia (al secolo conosciuta con un coloratissimo soprannome Matrema non vòle) erano tanti e variegati da renderle donne altrettanto ricche e potenti degli uomini di cui riempivano le ore, i giorni e, in alcuni casi, la vita.
E’ noto che alle sole cortigiane honeste lo Stato Pontificio concedeva figura giuridica e a loro sole era concesso il privilegio della trasmissione del cognome in assenza di riconoscimento paterno e del pagamento di congrua tassa, la pornè, sugli immensi possedimenti che erano riuscite ad accumulare attraverso un lavoro professionalizzato e specializzato. Quello stesso lavoro che le rese nel volgere di qualche lustro libere imprenditrici di sé stesse, taverniere rinomate e sapienti investitrici in mercatura o prestito bancario.
Non è difficile immaginare il loro mondo come una realtà fatta di una progenie numerosa e infiniti amanti, di affetti molteplici e profondi dall’imprevista modulazione combinatoria, di gelosie e rivalità feroci. Un caso per tutti: le famiglie delle cortigiane erano talmente allargate che i figli che Papa Borgia cognominò a

Tullia d'Aragona _ Moretto da Bescia

Tullia d’Aragona _ Moretto da Bescia

Vannozza Cattanei, sua cortigiana, non erano certamente tutta prole sua.
I contemporanei, infatti, già vociferarono assai malignamente sull’impressionante somiglianza tra Cesare Borgia e Giulio II della Rovere. E stranamente, morto Alessandro VI Borgia, è un dato di fatto che Giulio II non fece molto per fermare l’ambizione del giovane principe.
Insomma a scoperchiare quell’età antica si scoprono esseri umani a tutto tondo, forti in malizia e generosità, passione sciagurata e santa devozione, ferocia e genialità, astuzia e sapienza. Una civiltà alla quale non potevano difettare donne straordinarie e ammirevoli che fu definitivamente arsa dal fuoco della Riforma protestante e dalla Controrifoma cattolica.


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