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  1. Foro Romano. L’età tardo-antica e medievale

    All’inizio del IV secolo Roma si era trasformata dal piccolo agglomerato di villaggi collinari di mille anni prima in una vasta e irregolare metropoli.

    La Curia Iulia – Foro Romano .

    Il cristianesimo aveva messo radici nella città fin dall’anno 60 circa, al tempo della predicazione di Pietro e della di Paolo ai Romani, e verso la fine del II secolo o la metà del III fioriva una stabile e prospera comunità cristiana. Ma la vera storia della Roma cristiana ebbe inizio il 28 ottobre del 312, quando Costantino sconfisse il co-imperatore Massenzio, conquistando così, insieme con Roma, il dominio di tutta la parte occidentale dell’impero. L’importanza politica di Roma era diminuita, giacché con la riforma amministrativa di Diocleziano, tra il 285 e il 305, i quattro co-imperatori della tetrarchia avevano adottato nuove residenze imperiali: nessun imperatore risiedeva ormai a Roma se non per breve tempo, e i principali dicasteri civili e militari si erano trasferiti in gran parte nei nuovi centri amministrativi o viaggiavano al seguito delle corti itineranti della tetrarchia. A Roma era rimasto il Senato, ma in pratica il suo ruolo si limitava a funzioni onorifiche e cerimoniali.
    Nel Foro romano fu innalzata, dopo l’incendio del 283, la nuova aula del Senato, la Curia Senatus, visibile ancora oggi; dirimpetto fu quasi

    La Basilica di Massenzio – Foro Romano – Oggi.

    completamente ricostruita la basilica Giulia, danneggiata dallo stesso incendio. Furono riparati i rostra, ovvero la tribuna per gli oratori di fronte alla Curia, e sullo sfondo furono erette cinque colonne onorarie dedicate a Diocleziano e ai suoi imperiali colleghi. Ancora più straordinaria fu l’attività edilizia di Massenzio, sia per la brevità del regno, sei anni dal 306 al 312, sia per la quantità e grandiosità delle opere: ristrutturò dalle fondamenta il tempio di Venere e Roma costruito da Adriano all’estremità orientale del Foro, di fronte al Colosseo. Accanto a esso costruì nel giro di tre anni la Basilica Nova, una gigantesca aula con volte a crociera sopra la navata e, su ciascun lato di questa, tre enormi nicchie con volte a botte, i cui avanzi sono ancora oggi i più imponenti del Foro. L’edificio, terminato e in parte modificato da Costantino, fu detto comunemente Basilica Costantini. Poco lontano, una struttura più antica, oggi corrispondente alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano, fu completamente rimaneggiata e divisa in due da una parete absidata: la metà anteriore fu rivestita di marmi e verso il Foro le fu

    La Basilica di Massenzio – Giovan Battista Piranesi.

    anteposta una rotonda a cupola, oggi detta impropriamente tempio di Romolo, con facciata ricurva ornata da colonne. Quest’edificio, completato da Costantino, era forse la sala di udienza del praefectus urbi. Quest’area era diventata, col passare dei secoli, una grandiosa mostra di architettura di Stato, dove romani, provinciali e stranieri potevano ammirare templi, palazzi, edifici amministrativi, basiliche, portici: enormi costruzioni di marmi o di finto marmo, con capitelli dorati, archi trionfali e statue onorarie che nel complesso dovevano creare un effetto molto simile a quello che oggi produce il Vittoriano.
    Quando nel 312 entrò in Roma, Costantino pensava probabilmente di trasformare la città nella capitale cristiana di un impero cristiano. In realtà, col passare del tempo l’impero divenne, sotto la sua guida, sempre più cristiano, ma Roma, capeggiata dall’aristocrazia senatoriale, gli oppose resistenza, e i grandiosi edifici chiesastici eretti come monumenti alla nuova fede non raggiunsero mai il cuore della città. Sappiamo infatti che le basiliche di San Pietro, il piccolo sacrario sulla tomba di San Paolo, San

    Basilica di Massenzio – Du Perec.

    Giovanni in Laterano, San Lorenzo fuori le Mura furono costruite da Costantino ben lontane dal centro della città, proprio per non turbare una cittadinanza ancora fortemente pagana.
    Nel 326 un’aperta rottura col Senato provocò la partenza definitiva da Roma di Costantino, che si cercò una nuova capitale e nel 330 fondò, in Oriente, Costantinopoli. Roma gli era venuta meno. La Nuova Roma nata sul Bosforo divenne così ciò che la vecchia Roma non era ancora disposta a essere.
    Specialmente il Foro era rimasto una riserva del paganesimo. Fra il 337 e il 341 fu eretta lungo la via Sacra una serie di statue, tra cui alcune di divinità antiche; le poderose colonne del tempio di Saturno furono ricomposte intorno al 400 e dotate di rozzi capitelli ionici, di un tipo in disuso a Roma da trecento anni; infine, all’altra estremità del Foro fu restaurato nel 394 il tempio di Vesta.
    Per tutto il IV secolo Roma continuò a presentare ai visitatori un volto

    Santa Maria Antiqua – Foro Romano.

    essenzialmente classico, secolare e pagano. La visita dell’imperatore Costanzo II nel 357 comprendeva il Foro Romano, «abbagliante con la sfilata delle sue meraviglie».
    Parallelamente, nel IV secolo gli imperatori emanarono una serie di decreti diretti alla progressiva soppressione dei culti e dei santuari pagani: nel 346 fu proibito il culto pubblico agli dei, dieci anni dopo furono chiusi i templi. Mentre si cercava di eliminare il paganesimo, restavano comunque i suoi monumenti, a ricordo del grande passato e a perenne memoria dell’antica potenza della città e dell’impero. Ancora nel 530, durante l’assedio gotico, Roma era ancora popolata di statue. Al Foro, il santuario di Giano conteneva un simulacro bronzeo del dio alto sette piedi e mezzo.
    Ma nel 395, a Roma, il paganesimo fu definitivamente soppresso. E mentre la città diventava sempre più cristiana, la Chiesa si romanizzava, assumendo un atteggiamento positivo verso il passato dell’Urbe.
    Nel 410 su Roma si abbatté una catastrofe: in agosto, una banda di Visigoti capeggiati da Alarico invase la città e la saccheggiò per tre giorni. L’imperatore d’Occidente, dal 395 vi era un impero occidentale distinto da quello Orientale, rimase inerte a Ravenna. E Roma restò indifesa. Sul Foro Romano furono danneggiati la basilica Emilia e l’adiacente Secretarium del Senato.

    Santa Maria Antiqua – Foro Romano.

    Nei decenni successivi, la città continuò ad andare in rovina e a essere preda di ogni nemico. E anche la struttura fisica si andava deteriorando. I materiali preziosi, trafugati dai templi, venivano reimpiegati, nella maggior parte, nella costruzione delle chiese. Dal disfacimento materiale di Roma a partire dal IV secolo sorse la Roma cristiana. Ma la città, nonostante tutto, esisteva ancora: le mura, riparate dai Bizantini, erano ancora in piedi; le vie principali e le piazze erano tenute sgombre. E nel 608 la colonna eretta nel Foro romano in onore dell’imperatore Foca fu innalzata su una pavimentazione risalente al III secolo. La gente scendeva ancora al Foro per fare acquisti, tra le merci erano compresi gli schiavi, e per scambiarsi notizie, mentre nel Foro Traiano, rimasto in piedi fino al VII secolo, si tenevano adunanze letterarie.
    Quando il 3 settembre del 509 sale al soglio pontificio Gregorio detto poi “Magno”, l’unico responsabile politico, militare, amministrativo, assistenziale di Roma era ormai la Chiesa. Di conseguenza, anche in campo edilizio e urbanistico, la responsabilità ricadde sul papa, vista la totale negligenza del governo bizantino.
    Tra le opere più importanti, un edificio pubblico situato dalla parte opposta del Foro, sotto la pendice Nord-occidentale del Palatino, fu trasformato

    Santa Maria Liberatrice – Foro Romano.

    nella chiesa chiamata, dal 635, Santa Maria Antiqua. Eretta nel tardo I secolo come aula di rappresentanza, intorno alla metà del VI secolo doveva essere diventata un corpo di guardia a protezione della rampa che conduceva ai palazzi in cima al colle, sede del governatore bizantino. La sala – come si addiceva al viceré dell’imperatore cristianissimo – era decorata con pitture murali di soggetto sacro che si richiamavano ai mosaici giustinianei nella cosiddetta Porta di Bronzo, ossia nel corpo di guardia del palazzo imperiale di Costantinopoli. Nei due secoli seguenti l’aula trasformata in chiesa fu decorata a più riprese con nuove pitture murali, finché nell’847 l’edificio fu sepolto da una frana; i beni e i diritti della chiesa furono allora trasferiti a Santa Maria Nova, posta all’estremità orientale del Foro, dall’altra parte della Via Sacra.
    Gli avanzi di Santa Maria Antiqua, scoperti nel 1702, furono scavati e identificati nel 1900: le decorazioni murali sovrapposte, rimaste per tanti secoli inaccessibili e quindi intatte, fanno di questa chiesa un vero museo della pittura romana del VII-VIII secolo, in cui sono conservate le tracce del reciproco influsso che si esercitò allora tra elementi occidentali e orientali.
    Fra il 625 e il 638 la Curia Senatus al Foro romano fu trasformata da papa Onorio I nella chiesa di Sant’Adriano; e l’Alta Corte di giustizia del Senato, divenne un oratorio dedicato a Santa Martina.

    Roma, 18 gennaio 2020

  2. Il fascino dell’antico e il linguaggio dei marmi nel Medioevo

    Il pavimento cosmatesco è una particolare tipologia di decorazione pavimentale emersa in Italia tra il XII e il XIII secolo grazie all’attività di

    Santa Maria degli Angeli -Roma.

    alcuni marmorari romani che operarono in varie botteghe e appartenenti alla famiglia dei Cosmati.
    Cosmati è in realtà un termine generico dovuta al fatto che i marmorari romani indicavano se stessi come Cosma o Cosmatus firmando le loro opere.
    Successivamente si sono potuti identificare due artisti diversi che appartenevano a due famiglie: Cosma di Jacopo di Lorenzo, attivo almeno dal 1210 al 1231, e Cosma di Pietro Mellini, attivo a partire almeno dal 1264.
    Cosma di Jacopo di Lorenzo è uno dei marmorai più noti della famiglia di Tebaldo Marmorario che è il capostipite di questa famiglia, attivo tra il 1100 e il 1150, e che raccolse le più grandi committenze da parte del papato. E’ noto che il figlio di Tebaldo si chiamava Lorenzo, a cui seguì appunto Jacopo e quindi Cosma. Anche i figli di Cosma proseguirono l’attività della famiglia.

    Santa Maria in Cosmedin – Pavimento della Navata Centrale.

    Questa famiglia diede avvio a una vera e propria moda nella decorazione pavimentale che incontrò il gusto e soddisfece il desiderio dei papi che quindi autorizzarono il prelievo dei marmi e delle altre pietre necessarie alla realizzazione di questa particolare decorazione musiva dai vari edifici romani.
    Il desiderio di riutilizzare i marmi antichi non si limitò però agli anni del XII e XIII secolo, ma fu una pratica che si estese anche nei secoli successivi, uno degli esempi più eclatanti è forse quello della cappella Mignanelli dentro Santa Maria della Pace decorata interamente con i marmi provenienti dal tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, nella seconda metà del 1600.
    Accanto alla bottega dei Cosmati perciò sorsero anche botteghe di marmorari imitatori di questo stile che nel tempo venne utilizzato per realizzare non più solo pavimenti ma anche altari, leggii, pulpiti, colonne tortili, fonti battesimali, ecc…
    Bisogna poi ricordare almeno l’esperienza del Magister Paulus a sua volta discepolo di un certo Magister Christianus attivo già nella metà del X secolo.

    Basilica di San Clemente – Roma.

    Il Magister Paulus diede vita a una sua bottega insieme ai suoi figli, attiva immediatamente prima di quella dei Cosmati. Al Magister Paulus sono attribuiti i pavimenti della chiesa di San Clemente, quelli dei Santi Quattro Coronati, della cattedra di San Lorenzo in Lucina e della basilica di San Pietro in Vaticano.
    Per la similitudine nello stile si pensa che siano stati realizzati dal Magister Paulus e dalla sua bottega anche i pavimenti delle chiese di Santa Maria in Cosmedin, di San Benedetto in Piscinula e di altre.
    I pavimenti cosmateschi sono dei coloratissimi tappeti marmorei la cui ricchezza, varietà e policromia contrasta con la semplicità dell’architettura delle basiliche e delle chiese romaniche in cui essi sono utilizzati.
    Per la realizzazione di questi pavimenti furono impiegate tessere o piccoli tasselli di marmo, granito o ceramica, cavati da antichi edifici romani,

    Santa Maria Maggiore – Civita Castellana.

    disposti a creare motivi geometrici di connessione tra inserti più grandi, rotondi, detti rotae spesso di porfido rosso.
    Il riuso di elementi marmorei, graniti, porfidi o ceramici permetteva di coniugare bellezza e risparmio: comprare nuovo materiale infatti era certamente più dispendioso che non utilizzare quello già così tanto abbondante presente in città. D’altra parte alcune cave di marmo come quelle di serpentino e di porfido rosso si erano già esaurite in epoca romana e sarebbe stato dunque impossibile per papi e cardinali approvvigionarsene se non sottraendole a edifici romani.
    Una delle caratteristiche della decorazione pavimentale “cosmatesca” è la sua simmetria, anche se più correttamente si dovrebbe parlare di simmetrie al plurale, poiché con accurate analisi anche di tipo matematico si è messo in evidenza il fatto che le simmetrie utilizzate dai diversi Cosmati sono più di una.
    Quando si osserva un pavimento cosmatesco si può distinguere sempre un elemento lineare che corre lungo la navata, attraversa il coro e giunge

    San Benedetto in Piscinula – Trastevere.

    all’altare. Questo perché il pavimento non aveva solo un valore decorativo, ma veniva utilizzato anche per segnare dei percorsi all’interno della chiesa e della basilica, percorsi che potevano essere seguiti in processione o da singoli.
    Il pavimento così veniva ad assumere due diversi significati e definiva lo spazio della navata a due livelli: il motivo lineare infatti definisce un vero e proprio corridoio che assume anche il valore simbolico di passaggio, esemplificativo del pellegrinaggio sulla Terra che il cristiano compie prima della sua ascensione nel regno dei cieli. Il motivo lineare centrale ha quindi valore di percorso salvifico, valore che nelle architetture dei secoli successivi sarà assunto da altri elementi: ad esempio la decorazione a spirale di angeli in epoca barocca.
    In genere la navata centrale è occupata da un elemento lineare che può essere composto da uno o dalla combinazione di due motivi principali: la guilloche, in cui una serie di tondi, il cui centro è una rota, si connettono attraverso fasce intrecciate, e il quinconce, una composizione di quattro tondi disposti intorno a un quinto collegati tra loro da bande intrecciate.

    Duomo – Terracina.

    Le fasce sinuose che collegano tra loro i tondi appaiono a chi entri e cammini sul pavimento come continue e intrecciate, piuttosto che semplicemente giustapposte.
    Tutto ciò che è ai lati della navata centrale è semplice riempimento dello spazio e viene realizzato per mezzo di una disposizione regolare di tessere colorate di materiali vari.
    Il pavimento cosmatesco diventa un elemento architettonico fondamentale nell’organizzazione e nella gerarchizzazione dello spazio della basilica paleocristiana dal momento in cui la basilica romana, che aveva due absidi sui lati maggiori e due ingressi sui lati minori, viene presa come modello architettonico per il tempio cristiano, ma viene semplificata eliminando una delle due absidi e ponendo l’ingresso sul lato opposto dell’abside rimasto. Era a questo punto necessario introdurre un asse di simmetria che restituisse equilibrio all’edificio e il motivo curvilineo del pavimento cosmatesco della navata centrale ha proprio il ruolo di introdurre di nuovo la simmetria speculare che era andata persa nella semplificazione della pianta basilicale. La simmetria speculare è poi rafforzata dal fatto che ai lati dell’elemento decorativo del pavimento della navata sono disposti specularmente dei rettangoli.

    San Crisogono – Trastevere.

    Spesso non vengono però realizzate simmetrie speculari semplici, ma queste possono essere più o meno complesse e diverse per l’elemento che decora la navata centrale e quello che fa da riempimento.
    Un altro aspetto che caratterizza i pavimenti cosmateschi è la varietà di forme che si possono riconoscere al suo interno. Le così dette rotae, ovvero i tondi che sono al centro delle guilloche e delle quinconce sono fette di colonne. Poi si possono distinguere cerchi, triangoli, quadrati, rettangoli, rombi, esagoni, ottagoni e la così detta vesica piscis, cioè un ovale appuntito che viene a formarsi all’intersezione di due circonferenze.
    Questa organizzazione geometrica dei Cosmati nasceva spesso da motivi di ordine pratico.
    La tecnica utilizzata era quella di partire dal marmo bianco all’interno del quale venivano scavati gli alloggiamenti della misura e della forma esatta per accogliere poi i frammenti colorati, queste tracce erano poi riempite con un fondo cementizio nel quale venivano incastrati i frammenti in maniera tale che non sporgessero dal marmo stesso. Si partiva per questo

    Cappella di San Luigi – Cattedrale di Monreale

    “gioco ad incastro” dai tasselli più grandi, quindi venivano riempiti gli spazi vuoti, ricavando in essi gli alloggiamenti per le restanti tessere, andando sempre in ordine di grandezza dal più grande al più piccolo.
    Osservando un pavimento cosmatesco si può così notare che la simmetria riguarda solo, o principalmente la forma e la dimensione, ma molto raramente il colore, e questo corrisponde a una particolare caratteristica dell’effetto simmetria che appunto rende trascurabile il colore, tanto che essa potrebbe essere colta e il pavimento apprezzato per la sua bellezza anche se fosse realizzato tutto con tessere bianche e nere.
    I Cosmati quindi rispondevano a una esigenza ottica precisa in cui l’importante è riempire lo spazio con una certa forma piuttosto che con un dato colore e questo introduce nei pavimenti cosmateschi un altro livello di simmetria che è detta simmetria di similitudine o simmetria frattale. Questa esigenza ottica fa si che gli spazi restati vuoti vengano riempiti via via con forme simili di scala più piccola. Il risultato può essere un motivo che localmente è simile a se stesso.
    Questa esigenza ottica spiega anche perché una delle figure più frequentemente utilizzate è il triangolo; per esempio lo si trova nelle aree comprese tra i margini circolari di guilloche e quinconce e i bordi rettilinei che li circondano. Questi spazi curvi hanno una forma che ricorda molto quella di un triangolo e spesso accolgono un triangolo grande, mentre lo spazio intorno viene riempito con triangoli più piccoli fino a quando tutto lo spazio disponibile è completato.

    Roma, 5 gennaio 2020

  3. Le tombe di via Latina, gioiello dell’arte funeraria

    Nel mezzo della periferia romana, tra le moderne via Appia e via

    Sarcofago per due in marmo greco – Tomba dei Pancrazi – Parco Archeologico della Via Latina.

    Tuscolana, si incastona ancora perfettamente conservato un tratto del III miglio dell’antica via Latina. Risparmiato dall’invadenza del cemento, questo frammento di campagna romana conserva intatto il fascino arcadico della sua dimensione originaria di strada antica fiancheggiata da alberi e sepolcri. Tra il corteo di sempreverdi e l’allineamento delle tombe, qui è possibile ritrovare il gusto e la passione per il passato, come in un’ottocentesca promenade. La strada con i suoi basoli conduce verso una realtà solitaria e agreste, lontana dai rumori assordanti del traffico. Essa ha origini remote: la rotta naturale, già seguita in età preistorica, venne utilizzata dagli Etruschi per colonizzare la Campania nel tra l’VIII e il VI secolo avanti Cristo. Tracciata definitivamente dai Romani intorno tra il IV e il III secolo avanti Cristo, congiunse Roma a Capua attraversando i monti Lepini, Ausoni, Aurunci e le valli dei fiumi Sacco e Liri mantenendo la sua importanza per tutta l’antichità.

    Tomba dei Valeri – Particolare del soffitto a stucco bianco – Parco Archeologico della Via Latina.

    Anche in età medievale, infatti, fu preferita come viabilità per Napoli per la migliore conservazione rispetto all’Appia e la presenza di una serie di edifici di culto cristiani lungo il tracciato. Entrando nel Parco archeologico delle Tombe della Via Latina è oggi possibile percorrere un tratto del selciato originale della strada. Con una gradevole passeggiata a piedi si possono ammirare le ricche tombe risalenti ad un periodo compreso tra il I e il II secolo dopo Cristo che si affacciavano sul percorso, che presentano ancora perfettamente conservate le decorazioni policrome sulle facciate e all’interno: volte rivestite d’intonaco dipinto e stucco, pareti affrescate con scene di carattere funerario e ricchi pavimenti in mosaico si conservano ancora sostanzialmente intatti nel loro contesto originario. Dalla strada è inoltre possibile raggiungere la Basilica di Santo Stefano, raro esempio di impianto paleocristiano eretto sotto il pontificato di Leone Magno intorno alla metà del V secolo. Il Parco archeologico delle Tombe della Via Latina è stato istituito nel 1879 a seguito dell’acquisizione da parte dello Stato di una vasta area in cui erano stati portati alla luce notevoli resti di età romana. Grazie ai recenti lavori di restauro è oggi possibile accedere all’interno di alcuni dei sepolcri più spettacolari in piccoli gruppi per non comprometterne lo stato di conservazione: il cosiddetto Sepolcro Barberini, o dei Corneli. Il monumento funerario, databile al II secolo dopo Cristo, è costituito da due piani sopraterra e da uno ipogeo in eccellente stato di conservazione. Il piano superiore è coperto da una volta a crociera interamente rivestita di intonaco affrescato a sfondo rosso ed elementi in stucco. Si riconoscono gruppi di personaggi, vittorie alate su bighe, amorini, uccelli, animali marini, soggetti mitologici e sfondi architettonici. La Tomba dei Valeri. Se ne conservano gli ambienti ipogei riccamente decorati, databili alla metà del II secolo dopo Cristo, mentre l’elevato è una ricostruzione ipotetica realizzata nella metà dell’Ottocento. Un elaborato rivestimento in stucco bianco, articolato in 35 medaglioni e riquadri, orna le lunette e la volta a botte dell’ambiente sotterraneo.

    Tomba dei Valeri – Uno scorcio del soffitto decorato in stucco bianco – Parco Archeologico della Via Latina.

    Soggetti dionisiaci, figure femminili e animali marini sono rappresentati nei medaglioni, mentre nel tondo centrale si trova una delicata figura velata a dorso di un grifone, che rappresenta la defunta portata nell’aldilà. La Tomba dei Pancrazi. Gran parte della struttura visibile è una costruzione moderna che protegge il monumento sottostante impostandosi sui muri originali databili tra il I e il II secolo dopo Cristo che si conservano per circa un metro di altezza. Entrando nel sepolcro si possono ammirare gli ambienti sotterranei splendidamente decorati con mosaici sui pavimenti e volte e pareti affrescate con colori brillanti e stucchi in eccellente stato di conservazione. Vi sono raffigurate scene mitologiche, paesaggi naturali e architettonici, immagini femminili e di animali. Al centro di una delle camere ipogee campeggia un grande sarcofago per due deposizioni in marmo greco.

    Roma, 11 dicembre 2019

  4. Foro Romano IV. L’età imperiale

    Dopo le prime tre passeggiate al Foro Romano in età arcaica, regia e repubblicana, la quarta è dedicata alle trasformazioni avvenute in età imperiale.

    La Curia Iulia nel Foro Romano.

    Alla fine della Repubblica, quando Roma è ormai capitale di un impero che si estende dalla Gallia alla Siria, l’antico Foro repubblicano appare ormai insufficiente alle funzioni di centro amministrativo e di rappresentanza della città. Il primo a dare inizio alla costruzione di un nuovo complesso monumentale, che è presentato all’inizio come un semplice ampliamento dell’antico, è Giulio Cesare, fin dal 54 avanti Cristo. I successivi interventi del dittatore nell’antica piazza repubblicana sono radicali: scompare praticamente il Comizio, sostituito in parte dal Forum Iulium, mentre l’antica sede del Senato, la Curia Hostilia, ricostruita in una nuova posizione, si trasforma, significativamente, in un’appendice del nuovo foro, Curia Iulia. La Basilica Giulia, ricostruzione assai più imponente dell’antica Sempronia, e il rifacimento della Basilica Fulvia-Emilia concludono la ristrutturazione integrale dei lati lunghi della piazza.
    La politica edilizia di Augusto, più prudente e oscillante, non può che tener conto di questa rivoluzione: il secondo lato corto della piazza, verso Est, viene occupato dal tempio del dittatore divinizzato, preceduto dai Rostri che fanno da pendant all’antistante tribuna, la quale ha sostituito, già con Cesare, i più antichi Rostra repubblicani.

    Curia Iulia nel Foro Romano – Particolare del pavimento.

    Le necessità propagandistiche e dinastiche, che man mano si andranno determinando, condizioneranno i successivi interventi: un Arco partico – forse in seguito dedicato ai nipoti del principe, Gaio e Lucio Cesare, addossato al lato Nord del Tempio del Divo Giulio e contrapposto all’Arco Aziaco di Augusto, che sorge sull’altro lato – prefigura suggestivamente la successione all’Impero, di cui i due giovani erano destinati. Dopo la loro morte prematura, ha inizio un’intensa attività del nuovo erede, Tiberio, al quale si debbono la ricostruzione dei templi dei Castori e della Concordia. Lo stesso Tiberio, già imperatore, innalzerà un arco accanto alla facciata del Tempio di Saturno. Attraverso il rispetto formale per la tradizione, tipico della politica di Augusto, traspare il desiderio di impadronirsi di essa per strumentalizzarla a fini dinastici, come si può constatare con ancora più cara evidenza nel Foro di Augusto. La piazza del Foro, ormai privata della funzione politica originaria, si trasforma in uno sfondo di rappresentanza destinato a esaltare il prestigio della dinastia.

    Il Foro di Augusto. Situazione attuale.

    La struttura conferita alla piazza dall’opera di Augusto restò a lungo immutata: le inserzioni di nuovi edifici, come il Tempio di Vespasiano e quello di Antonino e Faustina, si adattarono, senza modificarla, alla struttura augustea. Solo Domiziano, in significativa coincidenza con la sua politica marcatamente monarchica, osò per primo inserire un elemento di rottura: la sua gigantesca statua equestre al centro della piazza, che divenne così quasi una mera cornice per il monumento destinato a esaltare il dominus et deus.
    Solo a partire dal III secolo dopo Cristo l’area del Foro fu di nuovo invasa da costruzioni ingombranti: l’arco e la statua equestre di Settimio Severo e poi soprattutto le sette colonne onorarie sul lato meridionale, i monumenti commemoranti i decenni della Tetrarchia, i nuovi rostra sul lato orientale della piazza: tutto ciò è in relazione con i grandi lavori di rifacimento successivi al violento incendio di Carino, 283 dopo Cristo. La Colonna di Foca, del 608 dopo Cristo, probabilmente nient’altro che la riedificazione all’imperatore bizantino di un monumento già esistente, chiude la storia del Foro e costituisce ormai la testimonianza di una nuova epoca, già avviata con la trasformazione di molti edifici pagani in santuari cristiani: la Curia Iulia diviene Sant’Adriano, VII secolo dopo Cristo, mentre altre chiese si installano tutt’intorno all’area, da Santa Maria Antiqua ai Santi Cosma e Damiano.

    Roma, 13 novembre 2019