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  1. Il Pigneto tra sviluppo industriale e neorealismo

    Il Pigneto è un quartiere di forma triangolare incuneato tra le due vie consiliari,

    Saracinesche - Pigneto

    Saracinesche – Pigneto

    la Casilina e la Prenestina, e serrato tra due bracci della linea ferroviaria, che ha inizio poco fuori da Porta Maggiore, nel quadrante Sud Est della città. Alla fine dell’Ottocento l’area, di circa 200 ettari, era ancora totalmente agricola e utilizzata per il pascolo con solo alcuni casali e qualche villa. Il terreno, fertile ma paludoso e ricoperto di fitti canneti, era per lo più costituito da una pineta abbastanza estesa da cui il quartiere trarrà il suo nome.
    Una volta diventata capitale, Roma ha la necessità di allinearsi alle grandi città europee e di dotarsi di una nuova scenografia architettonica e urbanistica, che comporterà sventramenti e abbattimenti di interi quartieri cresciuti su se stessi nel corso dei secoli, ma ha anche la necessità di identificare nuove aree adatte allo sviluppo industriale. Tra queste ultime il Pigneto sarà una di quelle fortemente investite dalla trasformazione.
    Prima lo Stabilimento Omnibus e Tramways, poi lo Scalo di San Lorenzo, quindi l’Istituto Farmaceutico Serono e la SNIA VISCOSA sono alcune delle tante realtà che andranno a posizionarsi in questo quadrante della città decretandone lo sviluppo urbanistico e il carattere, fortemente industriale e operaio.

    Alcune di queste realtà industriali saranno seriamente messe in crisi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e finiranno per scomparire dallo scenario produttivo della città e dell’Italia, come la SNIA VISCOSA. Altre giungeranno, adattandosi alle trasformazione dettate dai tempi, fino ai giorni nostri come l’Istituto Farmaceutico Serono e lo Stabilimento Omnibus e Tramways.

    Il lavoro in fabbrica - Cyop&Kaf

    Il lavoro in fabbrica – Cyop&Kaf

    Ma il Pigneto non è solo industria e operai. Nell’immediato Dopoguerra il Pigneto diventerà infatti vera e propria scenografia cinematografica: qui nascerà il neorealismo italiano.
    Quella forma espressiva cinematografica che si nutrirà disperatamente della realtà di una Roma capitale, e di un’Italia, emersa da una guerra che l’ha completamente devastata dal punto di vista sociale ed economico e che quasi senza accorgersene si troverà nel così detto boom economico, che forse altri tipi di devastazione compirà.
    Il primo film girato tra mille difficoltà economiche, pochissima pellicola, quasi nessuna risorsa tecnica subito dopo la liberazione con l’Italia del Nord ancora in mano ai nazi-fascisti è “Roma Città Aperta”. Le sue scene più significative, quelle che resteranno maggiormente nell’immaginario degli spettatori di mezzo mondo, saranno girate proprio al Pigneto.
    Quel cinema neorealista che parlerà con vigore della realtà emersa dalla guerra e di ciò che la guerra stessa ha significato per Roma e per l’Italia intera, muoverà i suoi primi passi proprio qui, avrà i volti degli abitanti di via Montecuccoli e dei passanti della Circumvallazione Casilina.
    Una manciata di anni dopo anche Pasolini, considerato a ragione il “cantore delle borgate”, colui che nel bene e nel male ha dato visibilità e voce a una vasta parte della popolazione che dopo la guerra si trovava a vivere ai margini sociali e politici di una Roma post bellica, utilizzerà il Pigneto, ma anche la vicina Borgata Gordiani, come set per il suo primo film “Accattone”.
    La passeggiata ci permetterà di raccontare la storia dell’Istituto Serono e della lungimiranza e modernità del suo fondatore Cesare Serono.

    Maria - Mr Klevra

    Maria – Mr Klevra

    Ci darà modo di confrontare i luoghi di ieri, così come ce li restituisce il ricordo non sempre vivo di film come “Roma Città Aperta” ed “Accattone”, con quelli di oggi e ci offrirà anche la possibilità di raccontare la storia di un altro film di Pasolini: “Il Vangelo Secondo Matteo”.
    Il film del 1964, trasposizione puntuale del Vangelo dell’apostolo Matteo, trova sui muri del Pigneto un piccolo omaggio, realizzato in occasione del cinquantennale.

    La passeggiata si concluderà al Parco delle Energie, ovvero alla ex SNIA VISCOSA dove la storia della realtà industriale si salda con la realtà di oggi: un parco urbano difeso dalla speculazione edilizia anche grazie alla presenza del Centro Sociale che è stato ed è uno dei più importanti baluardi anche del laghetto riemerso nel 1990 proprio all’interno dell’area di 14 ettari dell’ex stabilimento industriale.

    Per una galleria fotografica…..

  2. Vittoriano o Altare della Patria: i due volti di un monumento

     

    Che immagine ha il romano e più in generale l’italiano dell’Altare della Patria?

    Vittoriano sotto la neve

    Vittoriano sotto la neve

    Probabilmente, la convinzione più diffusa è che esso sia il monumento di auto-celebrazione del regime fascista per eccellenza, quello che maggiormente stigmatizza l’aspetto architettonico del Ventennio e la realizzazione plastica delle sue ambizioni imperialistiche.
Un monumento che da sempre suscita sentimenti alterni: da un lato profondo amore e rispetto, e dall’altro, se non proprio odio quanto meno fastidio, perché vissuto come sopruso e distruzione di un’area di Roma di immensa bellezza. Abbattimenti che se da un lato apriranno la via alla Roma capitale, cancelleranno per sempre, in grandissima parte, la città medievale che oggi può essere apprezzata forse solo negli acquerelli di Ettore Roesler Franz.

    Torre di Paolo Terzo - Ettore Roesler Franz

    Torre di Paolo III – Ettore Roesler Franz


    Chi passa oggi davanti all’Altare della Patria e prova fastidio lo chiama in tante maniere diverse: “scrivania” o “ferro da stiro”, forse sono gli appellativi meno ingiuriosi.
    La sua mole svetta ed è visibile da molti punti diversi della città, diventando attrazione cui è impossibile sottrarsi. Almeno una volta bisogna calcare le sue scale e sottostare al rito. Anche gli stranieri fanno di tutto per poterlo visitare, forse senza capirci gran che e solo per godere della magnifica vista sulla città da una delle sue terrazze.
    Parte della pessima fama, come si è detto, trova le sue radici nel fatto che furono necessari tanti abbattimenti e sventramenti per realizzare quest’opera, la maggior parte dei quali viene imputata per intero al regime fascista che, in realtà, procedette solo ad una sorta di “appropriazione indebita”: utilizzare il monumento come enorme manifesto di propaganda del regime. Ancora oggi la vulgata comune riconosce nell’Altare della Patria un monumento voluto da Benito Mussolini. Ma quando nel 1922, i fascisti arrivano al potere, l’imponente mole bianca era già in costruzione dal primo gennaio del 1885, anzi da una decina di anni il monumento era stato inaugurato ufficialmente, anche se non completato in tutte le sue parti.
    In origine avrebbe dovuto chiamarsi “Vittoriano”, perché edificato per celebrare la morte di Vittorio

    Statua di Vittorio Emanuele II

    Statua di Vittorio Emanuele II

    Emanuele II di Savoia, l’amatissimo re dell’Unità d’Italia, ma anche per ricordare gli ideali risorgimentali e gli uomini che si erano sacrificati in nome dell’Unità d’Italia.
 Ma i lavori del più grande cantiere di Roma di fine Ottocento si dilatarono nel tempo per difficoltà strutturali non previste in fase progettuale. Il monumento si ingigantì allontanandosi via via dall’idea architettonica e celebrativa iniziale.
    La partecipazione dell’Italia alla Prima Guerra Mondiale con il suo enorme numero di morti ebbe poi un gran peso sul significato e sul ruolo del monumento. Molti di quei morti erano rimasti “ignoti” e la Patria sentì il bisogno di celebrarli tutti insieme. Fu così che il Vittoriano divenne l’Altare della Patria, e la Patria si auto-celebrò con qualche anticipo rispetto all’ascesa del fascismo.
    Quando il partito fascista arrivò al governo, il monumento era quindi già lì con tutta la sua retorica. Non restava altro che appropriarsi della sua immagine pubblica e del suo significato nell’immaginario comune e sfruttare il tutto a beneficio del regime.
    Nel passaggio dal 1800 al 1900 intanto, lo stile, la sensibilità artistica, il gusto subirono un cambiamento: il neoclassicismo italiano si tinse di verismo e contemporaneamente emersero nuovi fenomeni artistici di derivazione europea come il liberty. È il momento de La Belle Epoque, il movimento artistico e di costume che si afferma in Germania e in modo particolare in Austria, dove il nuovo sentire assume la definizione di “Secessione Viennese”. Klimt, che è l’esponente di maggior spicco della Secessione Viennese, non manca di far sentire la sua influenza anche in Italia.

    Vittoria alata

    Vittoria alata

    Forse potrà sembrare un po’ strano, ma molte di queste novità artistiche e culturali trovano la loro citazione all’interno dell’arte decorativa del Vittoriano/Altare della Patria.
Ad esempio, le “Vittorie alate”, che con profusione sono utilizzate come elemento decorativo e di celebrazione in molti punti del monumento, perdono le loro fattezze classiche, per assomigliare alle donne borghesi della Bella Epoque: stessa maniera di pettinarsi, una simile maniera di vestire.
    La stessa Dea Roma sta, maestosa e fiera, davanti ad un mosaico tutto d’oro assolutamente inconcepibile se il vento della Secessione Viennese non fosse spirato fino in Italia.
    Il passare inesorabile del tempo non cambia quindi solo il significato intimo del monumento che celebra la Patria e non più un re e gli ideali risorgimentali, ma fa si che nell’apparato decorativo del monumento si possa trovare citato il Michelangelo della Cappella Sistina accanto a Klimt.

    Roma, 28 maggio 2018

  3. Il Campidoglio, maestà e sacralità dell’Urbe

    Il Campidoglio è il più piccolo e il meno esteso dei sette colli, ma di certo il più augusto. Centro religioso e politico di Roma antica, è tuttora il cuore della maestà

    La struttura urbana di roma in epoca arcaica. Si vedono bene il Campidoglio e l’Arx.

    dell’Urbe e sede del governo cittadino. Il suo nome è universalmente riconosciuto come la somma espressione dell’idea di società organizzata in forma di Stato.
    La collina, alta 50 metri, presenta due sommità divise da un’insellatura, oggi Piazza del Campidoglio; su quella meridionale si ammirava il Tempio della Triade Capitolina, il più venerato di Roma. Su quella settentrionale – ora occupata dalla Basilica dell’Ara Coeli – s’innalzava la vera rocca, l’Arx, con funzioni difensive per tutto il tempo della Repubblica. Vi sorgeva il Tempio della Virtus e quello di Giunone Moneta, cioè “ammonitrice”.
    La conformazione del colle, con ripidi pendii tufacei sulla pianura acquitrinosa del Velabro, e la sua posizione sul Tevere nel punto in cui il fiume aveva dei guadi, giocarono un ruolo fondamentale nelle vicende del Campidoglio. L’accesso avveniva attraverso un’unica strada, il Clivus Capitolinus, attuale via del Campidoglio, che partiva dal Foro Romano come continuazione della Via Sacra e arrivava all’Area Capitolina, dinanzi al Tempio di Giove. Gli altri accessi erano due scalinate:

    Campidoglio Arcaico

    le Scalae Gemoniae che salivano all’Arx, l’attuale scalinata presso il Carcere Mamertino che oggi conduce al Campidoglio, e i Centus Gradus situati sul versante opposto e che all’altezza del Teatro di Marcello conducevano al Capitolium.
    La tradizione narra che un centro abitato, forse il più antico sorto nell’area della futura Roma, sarebbe stato fondato da Saturno sopra il colle: l’antichità del villaggio è provata dalla ceramica dell’età del Bronzo, XIV – XIII secolo avanti Cristo, scoperta proprio ai piedi del Campidoglio. Le leggende tramandano il ricordo di fondazioni antichissime e di lotte feroci tra Sabini, insediati sul Quirinale, e Romani, che invece abitavano il Palatino, per assicurarsi il controllo del colle capitolino, che culmineranno nel celebre episodio del tradimento di Tarpea, la figlia del comandante della guarnigione del Campidoglio, che avrebbe aperto le porte agli invasori sabini in cambio di monili.

    Rupe Tarpea prima delle demolizioni. anno 1856. Si ringrazia Roma Sparita.

    Questi, per tutto compenso, l’avrebbero uccisa, seppellendola sotto gli scudi. Tarpea, in origine, era la divinità tutelare del colle, Mons Tarpeius è il nome di una delle due cime del Campidoglio, e il nome di Rupe Tarpea fu sempre attribuito al precipizio meridionale del colle: da qui, in ricordo del misfatto di Tarpea, venivano gettati i rei di tradimento e di altri gravi delitti contro lo Stato. La statua della divinità, sorgente da una catasta di armi, a mo’ di trofeo, deve essere all’origine della leggenda. Secondo i Mirabilia Urbis Romae, racconti medioevali tra fantasia e verità equivalenti alle nostre guide turistiche diffusi dal XII al XVI secolo, si dice che sul colle sorgesse un’altissima torre che emanava luccichii d’oro di giorno e balenii di lampada ardente di notte, per additare ai nocchieri del mar Tirreno che lì era Roma.
    L’incendio dell’83 avanti Cristo devastò il Campidoglio: in conseguenza di ciò il colle fu sottoposto a importanti lavori di ricostruzione, in occasione dei quali fu edificato i Tabularium. Altri incendi lo devastarono: nel 69 dopo Cristo durante la battaglia tra i partigiani di Vespasiano e i sostenitori di Vitellio e nell’80 dopo Cristo. Toccò a Domiziano, divenuto imperatore nell’81, l’onore della ricostruzione.
    Esauritasi la funzione difensiva dell’Arx in epoca imperiale, il Campidoglio rimase unicamente come sede delle più solenni cerimonie celebrative e rituali, teatro dei trionfi militari. Fu poi progressivamente abbandonato alla fine del mondo antico tanto da essere denominato Monte Caprino perchè ridotto a pascolo per le capre o Colle di Fabatosta perché, nel mercato che vi si svolgeva, si vendevano le fave, secche o fresche che fossero, un cibo povero per una popolazione povera.

    Campidoglio e Aracoeli – Canaletto – 1720.

    La sacralità delle antiche funzioni lasciò comunque al colle un’eredità affascinante: gli imperatori germanici vennero qui a sottoporre formalmente il loro potere all’avallo del popolo romano. Poi vennero i poeti a ricevere la corona d’alloro come gli antichi trionfatori. Petrarca, su tutti, che ne fu cinto nel 1341.
    La ripresa del Campidoglio avvenne all’inizio dell’età moderna fino alla definitiva rinascita nel XVI secolo con la sistemazione michelangiolesca. La bellezza della Piazza del Campidoglio, un unicum urbanistico e architettonico che reca evidente il suggello del genio di Michelangelo, si manifesta di colpo salendovi dalla monumentale rampa: grandiosa e armoniosa per l’impianto architettonico, la giustezza delle proporzioni e la coerenza stilistica dei tre palazzi – dei Conservatori, Senatorio e Museo Capitolino – che la limitano senza chiuderla. Una terrazza permette di apprezzare tutta la vista sul Foro Romano e sul Palatino, cuore e origine di Roma. Da lì templi, basiliche, archi monumentali ci rimandano alle tre funzioni che caratterizzavano la più antica piazza di Roma: funzione religiosa, politica e di mercato.

    Piazza del Campidoglio e basilica dell’Aracoeli oggi.

    Alla destra del Campidoglio si erge la Basilica dell’Aracoeli, denominata anticamente Santa Maria in Capitolio. Il nome attuale si impose nel 1323 per via di una leggenda tratta dalle Mirabilia Urbis Romae che vuole la chiesa sorta là dove l’imperatore Augusto avrebbe avuto la visione di una donna con un bambino in braccio e avrebbe udito una voce che diceva: «Questa è l’ara del Figlio di Dio». Essa sorse sulle rovine del tempio di Giunone Moneta attorno al VII secolo.
    L’imponente scalea fu commissionata dal libero comune di Roma nel 1348 e inaugurata da Cola di Rienzo come voto alla Madonna affinché ponesse fine alla peste che imperversava in tutta Europa, e realizzata con i marmi di spoglio ricavati da ciò che rimaneva del Tempio di Serapide al Quirinale. Per questo l’Aracoeli è stata sempre considerata la chiesa del popolo romano e delle sue istituzioni civiche, in particolare il vicino Senato. Sempre qui si svolse il trionfo di Marcantonio Colonna dopo la battaglia di Lepanto del 1571, a ricordo del quale fu costruito lo splendido soffitto ligneo con profusione d’oro.

    Roma, 26 luglio 2018

  4. Meraviglie dell’Appia Antica. Mausoleo di Romolo e Villa di Massenzio

    Un tratto dell’Appia Antica

    Una passeggiata lungo l’Appia Antica è un’esperienza unica: la strada, completamente restaurata e riportata alla sua sezione originale, conserva per ampi tratti l’originale basolato.
    Lungo tutto il suo percorso si trovano importanti resti di monumenti funerari, torri e lapidi ombreggiati da grandi pini e cipressi secolari.
    Il tratto legato al periodo imperiale è definito per la sua straordinaria bellezza il “belvedere”. È qui che si allineano, tra il secondo e terzo miglio, il Mausoleo di Romolo, alle spalle del quale si ergono i resti della Villa e del Circo di Massenzio.
    I resti di epoca imperiale e pertinenti all’epoca di Massenzio sono di fatto l’ultima trasformazione di una costruzione più antica, ovvero una villa rustica tardo- repubblicana risalente al I secolo avanti Cristo, che si ergeva in posizione scenografica con vista ai Colli Albani.
    Una prima trasformazione si ebbe in età giulio- claudia, I secolo dopo Cristo, e successivamente nel II secolo dopo Cristo subì una radicale modificazione a opera di Erode Attico che la inglobò nella sua enorme villa detta Pago Triopio. La proprietà passò poi nel demanio imperiale, e fu a questo punto che, all’inizio del IV secolo, Massenzio si fece costruire la villa, il circo e il mausoleo di famiglia.
    Oggi, allineato con la via Appia e con apertura su di essa, si scorge un imponente quadriportico in opera listata, che circonda il Mausoleo dedicato a Romolo, che non deve però essere identificato con il fondatore di Roma, ma con il figlio dell’imperatore Massenzio, morto a soli sette anni, nel 309 dopo Cristo. Romolo, qui effettivamente deposto, fu divinizzato dopo la morte. Successivamente, il mausoleo fu trasformato per ospitare tutti i membri della famiglia imperiale compreso Massenzio e dotato di una cella per i riti connessi al culto dell’imperatore stesso.

    Il mausoleo di Romolo

    Ma le più note rovine “massenziane” sono quelle riferibili a un circo che è il meglio conservato tra tutti i circhi costruiti a Roma. Qui, persino i dettagli, come le anfore che servono a alleggerire il peso delle volte nella costruzione, sono ancora visibili. Il circo per le corse dei carri, che aveva una forma ad ippodromo, lungo 520 metri e largo 92, era di ridotte dimensioni perché era ad uso privato. Esso era infatti destinato a d accogliere l’imperatore, la sua famiglia e la corte imperiale. Oggi si stima che la capacità del circo fosse di 10.000 spettatori contro i 15.000 che poteva contenere il Circo Massimo. Sulla spina del circo troneggiava l’obelisco proveniente dal Tempio di Iside in Campo Marzio che successivamente Bernini collocherà al centro di Piazza Navona a completamento della Fontana dei Quattro Fiumi.
    La sconfitta di Massenzio, a opera di Costantino, determinò probabilmente il precoce abbandono dell’impianto, al punto che si pensa che la struttura non sia stata neppure mai usata da Massenzio, e il fondo passò nel Patrimonium Appiae, citato già al tempo di papa Gregorio I, alla fine del IV secolo, tra i patrimonia ecclesiastici. La grande tenuta passò poi ai Conti di Tuscolo, poi ai Cenci e ancora ai Mattei ai quali si riferiscono i primi scavi, nel XVI secolo. A metà del Settecento, una nuova costruzione rustica fu addossata al pronao della tomba di Romolo; il resto del complesso antico, allora indicato come Circo di Caracalla, era pressoché totalmente interrato, se nel 1763 Giuseppe Vasi, architetto e vedutista, poteva descriverlo così: «Rimane solamente di questo Circo, che da alcuni viene stimato per opera di Gallieno, un masso di materia laterizia che era l’ingresso principale, ed il piantato d’intorno al Circo, in mezzo del quale fu ritrovato l’obelisco egizio che ora si vede sul nobilissimo fonte di piazza Navona». Poco dopo, nel 1825, la tenuta fu acquisita da Giovanni Torlonia, che una ventina d’anni prima aveva già comprato la tenuta di Roma Vecchia e il relativo marchesato. Fu in quell’occasione che furono condotti nel complesso i primi scavi sistematici voluti dal Torlonia, allora ancora solo duca di Bracciano, ma suggeriti, nei modi e nella finalizzazione, dall’archeologo Antonio Nibby. Alla fine di otto mesi di difficile scavo, in un terreno – annota il Nibby nella sua Dissertazione – «maligno e sì duro che il tufo stesso sarebbe sembrato più molle», il circo era interamente riemerso fino alla Porta Trionfale sulla via detta Asinaria.

    I resti del circo di Massenzio sull’Appia Antica

    E proprio nei pressi di quella porta furono trovate due iscrizioni, una delle quali indicava Massenzio come committente e il figlio Romolo come dedicatario del monumento.
    Nel descrivere lo scavo, Nibby nota minuziosamente la mediocre qualità delle murature e delle stesse lastre di marmo delle iscrizioni, che datano perciò al IV secolo. Egli sottolinea, inoltre, come la fabbrica non sia mai stata restaurata, in antico. I Torlonia continuarono poi a far scavare lungo tutto l’Ottocento. Il complesso archeologico fu infine acquisito per esproprio dal Comune di Roma nel 1943.
    Il complesso di Massenzio, che doveva essere simile al Pantheon, fu studiato dai più grandi architetti del passato, da Sebastiano Serlio a Raffaello; il Palladio si ispirò alla tomba di Romolo, applicandole il lanternino e altri elementi barocchi, quando costruì le sue celebri ville. Tutto ciò rende l’idea del senso di continuità con cui gli architetti del Rinascimento studiavano i monumenti antichi, e dell’abilità tecnica che era riconosciuta in queste grandi opere.
    Entrando nel casale settecentesco è ben visibile l’interno del pronao colonnato; il mausoleo era costituito da due piani, dei quali resta ora solo l’inferiore: si tratta della camera funeraria, e consiste di un ambiente circolare con al centro un enorme pilastro; nel muro perimetrale si aprono delle nicchie, alternativamente rettangolari e semicircolari, nelle quali erano collocati i sarcofagi dei defunti.
    Anche nel pilastro centrale si aprono otto nicchie disposte secondo lo stesso schema.

    Tomba dei Servili.

    Quasi interamente scomparso è l’ambiente superiore, destinato alla celebrazione pubblica del figlio divenuto “Divo”, “Divo Romolo” recita l’iscrizione del circo, assunzione che era possibile solo agli imperatori, secondo modelli di origine orientale. Il sepolcro doveva essere infine coperto da una grandiosa cupola, e fu probabilmente rappresentato anche in un gruppo di monete coniate da Massenzio in onore del figlio divinizzato. Di tutto questo resta una terrazza pavimentata in sampietrini moderni.
    Addossato al lato Sud – Est del recinto troviamo il cosiddetto sepolcro dei Servilii che, nonostante fosse molto più antico della tomba di Romolo, è probabilmente di età augustea, era comunque un edificio sacro e quindi fu rispettato. Il sepolcro è costituito da un basamento quadrato in calcestruzzo sormontato da un tamburo a nicchie, al cui interno la camera funeraria, sufficientemente ben conservata, è decorata da stucchi.

    Roma 11 giugno 2018