Da Caravaggio a Bernini. Capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna

Filippo IV d’Asburgo, detto anche Filippo il Grande, fu re di Spagna dal 1621 fino al 1665, anno della sua morte, ma fu anche sovrano dei Paesi Bassi spagnoli, del Portogallo e di Algarve fino al 1640.

Filippo IV – Diego Velasquez

In realtà sotto questo titolo di re di Spagna, Filippo IV nascondeva molte altri titoli. Egli, infatti, era anche: re di Napoli, re di Sicilia, re di Sardegna e duca di Milano, il che spiega, almeno in parte, la relazione strettissima esistente tra Filippo IV medesimo e molti degli stati europei, ed in particolare l’Italia.
In Italia la relazione si espandeva ufficialmente su territori molto estesi come il Regno delle Due Sicilie e Milano, ma anche attraverso influenze più mediate e velate come quello sul Principato di Piombino, che attraverso Nicolò I Ludovisi metteva di fatto il Principato sotto l’influenza del regno di Filippo IV.
La relazione con l’Italia fu quindi strettissima e questa si esplicò non solo attraverso relazioni politiche ma anche attraverso relazioni culturali che legarono in modo particolare la monarchia spagnola all’Italia del Seicento.
La relazione culturale scaturiva dal fatto che Filippo IV fu anche un grandissimo mecenate e collezionista d’arte, e inviò a Roma insieme a Rubens anche Diego Velasquez, di cui di fatto era il patrono, in almeno due occasioni, tra il 1629 e il 1631 e poi tra il 1648 e il 1651, con il compito di acquistare opere per la decorazione dell’Alcazar, del Buen Retiro di Madrid e di altri palazzi reali.
L’opera di collezionismo svolta da Filippo IV verso l’Italia, si avvalse anche di altri uomini di cultura quali il legato papale Francesco Barberini e dei suoi viceré e ambasciatori quali Manuel de Acevedo y Zuniga, che era ambasciatore a Roma, o Antonio Alvarez de Toledo y Beaumont che era ambasciatore a Napoli.
Grazie all’attività di Filippo IV e dei suoi collaboratori e intermediari durante il suo regno, e poi anche durante il regno del suo successore, Carlo II, affluirono nella Collezione Reale opere che provenivano dai più vivaci centri artistici italiani del Seicento quali Roma, Napoli, Bologna, Firenze, Milano.

La tunica di Giuseppe – Diego Velasquez

E’ questo il motivo per cui troviamo oggi nella collezione del Patrimonio Nacional, donazione che la Corona Reale, nella persona di Isabella II, ha fatto nel 1885 allo Stato spagnolo ovvero al popolo spagnolo, le opere non solo di tutti i più grandi artisti del barocco italiano, quali Caravaggio, Bernini, Guido Reni, Carracci, Giambologna, Algardi, ma anche artisti minori e soprattutto quel gruppo di artisti un po’ speciali del barocco italiano che si formarono, vissero ed oprarono a Napoli, tra i quali si possono ricordare Massimo Stanzione, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Micco Spadaro e l’artista spagnolo di nascita, ma che potremmo definire napoletano per tutta la vita, Jusepe de Ribera.
La mostra dal titolo “Da Caravaggio a Bernini, Capolavori del Seicento italiano nelle Collezioni Reali di Spagna” delle Scuderie del Quirinale, presenta al pubblico una collezione di opere che normalmente sono difficilmente visibili al pubblico, anche spagnolo, a causa della loro particolare collocazione.
La mostra diventa anche un’occasione unica per ammirare alcune opere credute a lungo diperse o erroneamente attribuite nel corso dei secoli e che sono state restaurate per l’occasione.
Tra le opere esposte alcune sono di grande fascino quali il Crocefisso del Bernini,

Crocefisso – Gianlorenzo Bernini

commissionato per il Monastero di San Lorenzo all’Escorial, esposto per pochissimi anni e sostituito da quello di Domenico Guidi allievo dell’Algardi. Crocefisso a lungo ritenuto copia di bottega e solo recentemente attribuito con certezza al Bernini.
O ancora il modello della Fontana dei Quattro Fiumi, sempre del Bernini, probabilmente inviata a Filippo IV per motivi diplomatici, proprio da Nicolò I Ludovisi principe di Piombino, che aveva anche fatto da mediatore tra Bernini ed Innocenzo X, deciso in un primo tempo a non servirsi dell’artista troppo legato al suo predecessore Urbano VIII.
Un regalo del genere può forse apparire strano, ma bisogna considerare che, al di là dell’implicito valore pubblico e primario di approvvigionamento idrico della città, la realizzazione della Fontana dei Quattro Fiumi aveva un preciso significato politico che Innocenzo X Pamphilj voleva sottolineare e sancire. Detto significato politico fu ed è in definitiva riassunto dalla scelta di porre in cima all’obelisco della fontana la colomba con il ramo di ulivo nel becco. Colomba che è scelta non solo perché essa è nel simbolo araldico di Innocenzo X ma, soprattutto, perché il papa si sentiva attore principale se non unico della ritrovata pace in Europa durante il suo pontificato.
Durante il pontificato di Innocenzo X fu infatti firmata la pace di Vestfalia, che segnava la risoluzione della guerra dei Trent’Anni, guerra durante la quale il regno di Filippo IV si era particolarmente esteso. La colomba posta in alto sull’obelisco, si erge sui quattro spigoli di esso riunificandoli, e poiché su ogni spigolo di fatto c’è uno dei Continenti allora conosciuti, il messaggio era ed è che il papa aveva operato per l’unità e l’armonia dell’intera Terra.
Oltre opere che sono portate per la prima volta all’attenzione del grande pubblico la mostra permette di guardare e conoscere un ampio gruppo di artisti che costituiscono il fulcro del barocco napoletano. Massimo Stanzione, Mattia Preti, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Micco Spadaro e Jusepe de Ribera, spagnolo di nascita ma napoletano per la vita, furono artisti che ebbero modo di confrontarsi direttamente o indirettamente con Caravaggio, che fecero propria la sua lezione sulla luce, sulla bellezza, sulla rappresentazione del vero e la reinterpretarono in alcuni casi facendo emergere una sorta di anima nera che probabilmente Caravaggio non aveva avuto il tempo o il coraggio di far emergere.

San Gerolamo penitente – Jusepe de Ribera

Nascono così i dipinti dei tanti Santi eremiti di Jusepe de Ribera: per lo più anziani dalla magrezza esasperata di cui dovevano essere piene le strade dei Quartieri Spagnoli dove lo Spagnoletto, soprannome dovuto alla bassa statura del de Ribera, visse praticamente tutta la vita.
Ma la rappresentazione dei fatti, anche quando questi sono tratti dalla Bibbia, solo attraverso le emozioni ed i sentimenti come nel Luca Giordano de L’asina di Balaam, non può bastare e tante sono le innovazioni e le reinterpretazioni che i pittori napoletani introducono allontanandosi da quel caravaggismo un po’ di maniera che era stato in qualche modo cristallizzato da Bartolomeo Manfredi. Così un dipinto che arriva alla fine di quel seicento barocco, come la Cattura di Cristo di Luca Giordano, è forse il dipinto che più si allontana dalla lezione di Caravaggio, pur rimanendo saldamente legato alla lezione di Bernini.

Roma, 2 luglio 2017


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